Ascoltiamo
la brillante proposta che il nostro sottosegretario all’Economia Gianfranco
Polillo ha lanciato per tentare di risollevarsi dalla crisi economica:
"Nel
brevissimo periodo, per aumentare la produttività del Paese lo choc può venire
dall'aumento dell'input di lavoro, senza variazioni di costo; lavoriamo
mediamente 9 mesi l'anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve. Se noi rinunciassimo ad una settimana di
vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto".
Bene.
La domanda che sorge leggendo queste farneticazioni è una sola: ma dove vive
Polillo?
Non
rispondetemi “in Italia”, perché proprio non ci si può credere!
La
proposta di “aumentare il potenziale produttivo del Paese” fa il paio con una
delle più tipiche esternazioni dell’ex presidente Berlusconi “gli italiani
pensino a lavorare di più”.
Anzitutto
qualcuno dovrebbe cortesemente spiegare al nostro “super-tecnico” che aumentare
la produttività non risolve alcun problema; quello che conta è se si riesce poi a vendere quello che si è
prodotto.
Ma
certo, questo è un dettaglio marginale agli occhi dell’intrepido sottosegretario...
E noi
riusciamo a vendere i nostri prodotti?
Pare
evidentemente di no, visto che in Italia continuano a chiudere aziende.
Il
motivo lo sanno pure i sassi (ma Polillo evidentemente non l’ha ancora
scoperto): perdiamo continuamente competitività, diminuiscono le commesse e gli
ordini alle nostre industrie.
Se
questa è la realtà, a cosa serve produrre di più?
A chi
potremmo vendere questo di più?
Ma
non pensate che se le nostre aziende avessero mercato non si sarebbero già
organizzate per aumentare la produzione, magari assumendo nuovi lavoratori?
Quindi
la proposta di Polillo potrebbe essere riletta in questo modo: siccome manca il lavoro, bisogna lavorare
di più.
Davvero
un colpo di italico genio!
Eppure
guardando bene dietro la proposta, apparentemente delirante, si trova altro...
Siccome
i beni prodotti in quella settimana di lavoro “gratis” avrebbero un costo
inferiore, sarebbero automaticamente più competitivi sui mercati
internazionali.
Cioè,
non so se avete capito il senso vero della proposta di Polillo: siccome il
nostro prodotto costa troppo, è necessario
pagare di meno i lavoratori per diventare più competitivi.
Eccola
qui, la vera proposta!
In
effetti a ben pensarci sarebbe veramente una svolta: un ulteriore grande passo avanti nella direzione della “cinesizzazione”
della società italiana.
Ovvero
minori diritti per i lavoratori, più lavoro e paghe più basse.
Insomma
avvicinarci alla Cina e al suo modello di civiltà medioevale.
Questo
è in realtà quello che Polillo, con allineata tutta la Confindustria e in
definitiva tutta la classe dirigente italiana, ha in mente.
Tra i
tanti modi che si hanno a disposizione per ridurre i costi, ovvero puntare su innovazione, riorganizzazione
e nuove tecnologie, oppure ridurre il carico
fiscale sulle aziende, oppure ancora alternativamente ricorrere alla svalutazione competitiva della moneta,
che negli anni ’90 produsse risultati strepitosi sulla bilancia commerciale
italiana, l’unica cosa su cui la classe dirigente punta è ridurre il costo del
lavoro, cioè in definitiva far pagare ai lavoratori la crisi.
Oltre
al fatto che questa scelta è evidentemente socialmente ingiusta, c’è pure il
problema che alla lunga danneggia l’economia, perché ridurre di fatto le
retribuzioni e i salari porta inevitabilmente anche la diminuzione della
domanda interna, che ha come inevitabile conseguenza la discesa del PIL.
In
definitiva questa è l’indicazione di Polillo: la crisi la paghino i poveracci.
Meno retribuzioni, meno diritti (a questo sta alacremente lavorando la sua
collega di governo Fornero), meno occupazione e più tasse (in questo si
esercita il governo tutto).
Poi
questo sarà gradatamente seguito da ulteriore crisi, e quindi ulteriori tasse e
ulteriore meno occupazione, in un
circolo vizioso che si fermerà solo quando la nostra società si sarà
“cinesizzata” come da programma.
Ma
lasciamolo pure fare, questo Polillo e i suoi degni compari, e vedrete se non
andrà come ho appena anticipato!
Ci
vorranno decenni, ma lì andremo a finire, vedrete...