giovedì 19 aprile 2012

La dottrina Petrolini


Dunque s'è visto che anche il governo Monti - similmente ai governi che l'hanno preceduto - segue pedissequamente quella che io chiamo "dottrina Petrolini": bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.
Perché di soldi ne servono tanti, per risanare il dissesto finanziario che gli stessi governi hanno creato.

Si potrebbe obiettare che in un paese come l'Italia odierna, dove il 50% della ricchezza è concentrata nelle mani del 10% della popolazione più abbiente, sarebbe anche ora di dare corso alla dottrina contraria, e cominciare quindi a spremere seriamente soldi dai ricchi.
Opinione questa anche sostenibile con la considerazione che i ricchi da decenni pagano meno del dovuto, godendo di quel regime fiscale agevolato che si chiama "evasione fiscale, economia sommersa e corruzione".

Tuttavia bisogna mettersi nei panni dei poveri governanti e capire i motivi per cui la dottrina Petrolini è in ogni caso sempre ampiamente preferibile.
Perché vedete, i poveri sono facilmente reperibili, si sa tutto di loro.
I loro soldi stanno nelle banche sotto casa, non li portano mai all'estero: stanno lì a disposizione.
L'accertamento è facilissimo, e i soldi spesso glieli puoi prendere alla sorgente, addirittura prima che gli arrivino in tasca.
Non hanno stuoli di avvocati o commercialisti che li difendano a spada tratta, anzi spesso neppure si difendono da soli!
Neppure hanno alcun potere di ricatto, del tipo "aumenti le tasse? E io allora porto i soldi in Svizzera, tiè!"
Ma soprattutto tra i poveri DI SICURO non ci sono gli amici, i conoscenti e gli amici degli amici dei governanti stessi; pensate un attimo che disagio sarebbe ritrovarsi ospiti a cena da signori a cui il giorno prima hai chiesto di pagare più tasse.

No, bisogna converirne, la "dottrina Petrolini" è proprio l'unico modo per reperire i fondi per sollevare l'Italia dalla merda in cui è caduta.

Però... c'è un però...
Il punto debole di tutta la dottrina è questo: se la si applica troppo a lungo e troppo estesamente si rischia di "raschiare il fondo del barile", ovvero di arrivare al punto in cui i poveri, cioè le fasce basse di reddito e i ceti medi, non hanno più denaro disponibile per ulteriori "prelievi".
La dottrina prevede che ciò sia un dettaglio trascurabile, perché si può sempre chiedere "sacrifici" al popolo bue, cioè non solo si può intaccare i loro risparmi ma cominciare anche proprio a chiedergli di stringere la cinghia.
Poco male, pensa il governante, in fondo un po' di dieta non gli fa neppure male, a questi straccioni!
Giusto, per carità, giusto. E quasi quasi il popolo bue dovrebbe pure ringraziarli per questa delicatezza.

Non fosse che si crea uno spiacevole effetto collaterare, un "fastidio" che disturba il piano perfetto di recupero del dissesto che il governante con il suo infinito acume aveva concepito.
Il punto è che i poveri arrivati alla frutta, ma guarda tu che guaio... non consumano più, perché gli hanno levato tutti i soldi. E naturalmente, siccome i poveri sono tanti ma proprio tanti (enunciato dalla dottrina Petrolini stessa), se smettono di consumare loro, anzi neppure se smettono, basta che rallentino un pochettino, l'economia dell'intero Paese va a fondo.
Cominciano a chiudere i negozi e le imprese, cominciando dalle piccole e arrivando poi fino alle grandi, ad andare in crisi i professionisti e gli artigiani.
La crisi si acuisce in tempi rapidissimi, e non solo l'economia peggiora con i conseguenti danni, ma diminuscono anche le entrate fiscali dello Stato e quindi i soldi che il governante con tanta devozione aveva rastrellato dal fondo delle saccocce dei poveri viene compensato dalle minori entrate fiscali.

Quindi il recupero finanziario dello Stato... semplicemente non si verifica affatto!
I debiti restano sempre lì, apparentemente inamovibili, e in più si sono fatti danni profondi all'economia del Paese.
Con tanti complimenti al piano perfetto e all'infinito acume del governante.

La verità è che, come in tutte le cose, non si può tirare troppo la cinghia.
In Italia, già da decenni si è seguita la "dottrina Petrolini". Si potrebbe dire che l'Italia degli ultimi trent'anni è stata una macchina che ha estratto denaro dai ceti bassi e medi per consegnarlo agli alti redditi.
Insomma una specie di Robin Hood al contrario, oppure una sorta di Superciuk, il supereroe sbevazzone che rubava ai poveri per dare ai ricchi che gli appassionati del famoso fumetto "gruppo TNT" certamente ricorderanno.
I dati stanno sotto gli occhi di tutti, l'apertura della forbice che separa i bassi redditi dagli altri è una evidenza, l'accumulo di censo in una minoranza è un fatto conclamato.

Basta fare due più due: l'evasione fiscale da sola vale circa 100 miliardi di mancato gettito fiscale l'anno. Una ventina d'anni a questo ritmo ed ecco lì che magicamente si produce proprio il debito pubblico italiano.
E chi è che si è arricchito attraverso l'evasione? Di certo non quei pezzenti dei pensionati e dei lavoratori dipendenti!

Adesso per risanare il debito prodotto per arricchire il 10% dei furbacchioni che non hanno pagato le tasse per decenni si vorrebbe applicare ancora la "dottrina Petrolini".
A parte la profonda ingiustizia sociale, che fa subito venire in mente il classico adagio "mazziato e cornuto", la cosa proprio non funziona, semplicemente dal punto di vista economico.
L'ho spiegato sopra, in Italia abbiamo superato il "limite di spremitura" delle classi inferiori. Di qui in avanti ogni piccolo sacrificio si dovesse chiedere ai pensionati e ai lavoratori italiani lo si pagherebbe subito in termini di calo dei consumi, quindi crisi economica.

Guardate quello che è successo: a partire dalla seconda metà del 2011, prima le "manovre correttive" di Tremonti, poi il "rigore" di Monti, tutti provvedimenti sostenuti da una rigorosa "dottrina Petrolini" - per carità di Dio! - ed ecco che il 2012 sarà certamente un anno di recessione, e pure marcata.
E secondo i sedicenti "tecnici" che attualmente guidano la nazione questo sarebbe un risanamento finanziario?
Una manovra che produrrà un PIL del -2% (accetto scommesse...)?
Uno che produce questi risultati io non lo chiamo tecnico, lo chiamo inetto.

Sarà mica il caso di cominciare a ridiscutere questa benedetta "dottrina Petrolini"?
Sarà mica il caso di cominciare a prendere i soldi non dove è facile prenderli, ma dove sono accumulati e in abbondanza, anzi in super-eccesso?
Sarà mica giunto il momento di chiedere indietro i soldi a chi si è stra-arricchito, oltretutto in maniera illecita, causando il dissesto che ci affligge?
E' difficile, dite?
Balle, non è affatto difficile né complicato, si potrebbe fare con grande facilità, solo che manca la volontà, per via di quello che dicevo prima: perché il governante dovrebbe cominciare a prendere i soldi da sé stesso, dai suoi amici,  parenti e conoscenti, e dagli "amici degli amici"...

domenica 8 aprile 2012

Il mercato del lavoro secondo Fornero


Il ministro Elsa Fornero ospite a "Che tempo che fa" il 18 Marzo 2012, descrive la sua concezione del "mercato del lavoro" in questi termini:
«Oggi si tengono i lavoratori attaccati al posto di lavoro, anche se quel posto di lavoro non è più tanto produttivo pensando che tanto fuori non c'è niente; è questa la logica che deve  cambiare. Quindi il Governo intende attuare le cosiddette politiche attive per il lavoro, che servono ad aiutare i lavoratori che hanno perso il lavoro a cercare un altro posto».

Bellissimo schema logico, belle parole, tutto assolutamente perfetto.
Naturalmente è tutto perfetto se si verifica l'ipotesi che quell'altro posto di lavoro, quello che dovrebbe sostituire il lavoro che si è appena perduto esista, e che sia del lavoro "buono" e non del lavoro precario e/o pagato male.

Se invece questa ipotesi non si verifica cosa succede?
Non si sa, perché il ministro Fornero nel suo discorso purtroppo si è "dimenticata" di descrivere questa seconda possibilità: che sbadata, mannaggia!
Ma chiediamoci: è davvero una ipotesi remota questa, oppure è reale e purtroppo ben presente?
In altre parole, il mercato del lavoro in Italia è in espansione, statico, o in contrazione?
Perché sebbene la signora Fornero si sia dimenticata di discutere di questo "dettaglio", qualora dovessimo renderci conto che il mercato del lavoro sia in contrazione, tutto il suo discorso fatto sopra si dovrebbe tradurre in parole più semplici in: "il lavoratore che ha perso il lavoro vada a farsi fottere".
Ovvero, l'idea esposta sopra sarebbe null'altro che pura e semplice macelleria sociale.

Naturalmente la risposta delle teste d'uovo del Governo sarebbe la seguente: "è proprio tenere i lavoratori attaccati a posti di lavoro improduttivi che ha imbalsamato il mercato e causato la sua contrazione, ovvero basta ridare dinamicità a questo mercato perché torni ad essere in espansione e quindi il progetto sopra esposto sia efficace".

Anche qui, sebbene questa ulteriore contro-deduzione si presenti come un argomento molto ragionevole e reale, in realtà si tratta di una pia illusione.
Purtroppo, ahimé, la situazione è questa: non solo il mercato del lavoro in Italia è in contrazione, ma soprattutto ciò accade per motivi strutturali e permanenti, non per una semplice congiuntura sfavorevole. Ma neppure questo basta! Il punto è che questi motivi strutturali e permanenti, sono in larga parte fattori "esogeni", cioè generati al di fuori della realtà economica italiana e indipendenti dalla volontà dei nostri "attori", imprese, lavoratori o istituzioni statali che siano, incluso il Governo.

Diciamolo chiaro e tondo una volta per tutte: in Italia si sono persi, si perdono e si continueranno a perdere posti di lavoro al ritmo di parecchie centinaia di migliaia ogni anno. Su questo nessuno è in grado di farci nulla, di certo non le imprese, che anzi non fanno nient'altro che "delocalizzare" appena possibile, cioè spostando fabbriche, uffici e impianti all'estero, dove il costo del lavoro è inferiore e i mercati sono in espansione, e quindi contribuendo a far perdere migliaia di posti di lavoro.
Non ci può fare niente il Governo, perché nessun governo può agire direttamente sui meccanismi di una economia che è dominata dal principio del "mercato libero", cioè un mercato che si autoregola e non tollera l'intrusione di meccanismi di controllo che non siano la legge della domanda e dell'offerta.

E quindi?
Quindi la riforma del mercato del lavoro, quella attualmente in approvazione come qualsiasi altra riforma si fosse approvata, non serviranno assolutamente a nulla: continueremo a perdere posti di lavoro negli anni a venire, e anzi questa perdita di lavoro sarà anche accelerata dalla riforma attuale.
Che ne è quindi della frase della Fornero da cui siamo partiti? Sono solo un mucchio di sciocchezze, apparentemente cose ragionevoli ma in realtà senza alcun senso e legame con la realtà, solo illusioni.
Ne sapremo riparlare fra qualche anno, quando quello che ho appena scritto e che sembra solo la giaculatoria di un pessimista sfigato, si verificherà con puntualità cronometrica.

Se volessimo invece veramente analizzare il mercato del lavoro italiano, dovremmo cominciare a vedere quei "fattori esogeni" di cui parlavo sopra, quelli che spingono il nostro sistema economico ad avere sempre meno persone al lavoro a parità di prodotto ottenuto.
In primo luogo, la globalizzazione. Il fatto che possano entrare in competizione economie basate su popoli con livelli di qualità di vita enormemente differenti produce un effetto chiarissimo quanto devastante: la produzione si sposta inevitabilmente verso le aree produttive con basso costo del lavoro.

Per quale motivo tenere una fabbrica in Italia, dove gli operai costano, quando la si può aprire in Cina, dove lo stesso prodotto si ottiene con un quarto del costo?
Ecco quindi la "delocalizzazione", logico corollario della "globalizzazione", e subito dopo le fabbriche italiane che chiudono e i lavoratori italiani licenziati, senza che esista alcun posto di lavoro alternativo, come sarebbe nella favoletta zuccherosa della Fornero, perché quei posti di lavoro si sono perduti, qualcun altro sta producendo quelle cose, in un altro angolo di mondo.

Altro fattore "globale": l'innovazione tecnologica, che procede a passo spedito e non si può certo fermare, e che consegna alle aziende continuamente strumenti per ottenere il prodotto con un numero inferiore di addetti alla produzione.
La tecnologia avanza incessantemente, nuove macchine utensili, nuovi attrezzi e apparecchiature automatiche, nuovi computer, nuovi apparati robotici, fanno sì che quello che ieri richiedeva 10 addetti, oggi ne richieda 8, domani 5 e dopodomani 2.

Nel frattempo aumenta la nostra domanda di benessere in modo da creare nuovi posti di lavoro a compensare quelli che si perdono? Assolutamente no, neanche a pensarci, non è possibile mantenere il passo del progresso tecnologico con nuova domanda di beni, non è pensabile. Di certo non da noi in Occidente, dove il livello di qualità della vita è già molto alto e non è verosimile che possa aumentare seguendo il passo dell'impetuoso progresso tecnologico.

Dunque ulteriori posti di lavoro che si perdono, e di nuovo posti effettivamente persi, cioè per cui il mercato del lavoro non offrirà alcuna contropartita. Chi perde quel lavoro non ne troverà altro, semmai "lavoretti" a tempo parziale e mal pagati, e dovrebbe pure considerarsi fortunato!
Questo è la realtà, amarissima e bruttissima quanto si vuole, ma la realtà.
E non guardare in faccia la realtà, sognando invece che si possa cambiare con delle riformine che neppure sfiorano la cause vere del problema, significa solo illudersi e continuare a marciare tranquilli verso il baratro.

Questa è la scelta del nostro competentissimo Governo Tecnico, e che Dio ci protegga...

Poi si tratterebbe di capire se questo "disastro annunciato" sia una scelta dettata da incompetenza o da calcolo opportunistico basato su convenienze "occulte", ma questo è un'altra questione su cui tornerò.

Ma soprattutto si tratterebbe di capire se davvero il Governo e la società tutta non possono farci niente, se dobbiamo rassegnarci a questa sorta di "estinzione annunciata", oppure ci sarebbero azioni da intraprendere, a patto naturalmente di fronteggiare i veri problemi e non i donchisciotteschi mulini a vento che la classe dirigente attuale ci ha messo davanti agli occhi.

Ma anche questa è un'altra storia...

mercoledì 4 aprile 2012

Che brutto, il "posto fisso"!


E' tutto un susseguirsi di slanci e rilanci, tutta l'elitè politico-economica del Paese è impegnata da anni a trasmettere al popolo questo tambureggiante messaggio: che il lavoro flessibile sia da preferire al classico "posto fisso", il lavoro a tempo indeterminato.
Addirittura il presidente del Consiglio Mario Monti è arrivato a dire, in una trasmissione televisiva, "i giovani si abituino all'idea di non avere più il posto fisso a vita. D'altronde che noia il posto fisso! E' bello cambiare e accettare delle sfide!"
La sua collega di Governo Anna Maria Cancellieri, ministro dell'Interno, sostiene che "gli italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città e magari accanto a mamma e papà".
I pronunciamenti in proposito dei vertici della Confindustria neppure si contano, perché praticamente escono a ritmo quotidiano.

Ora io mi chiedo una cosa molto semplice.
Ammettiamo pure che abbiano ragione, che effettivamente il lavoro flessibile sia da preferire a quello permanente. E ammettiamo pure che ciò sia vero non solamente - come è ovvio - per le aziende, ma anche per i lavoratori stessi.
Ma se è così, come mai, cari signori governanti e industriali, il lavoro flessibile è pagato di meno del classico posto fisso?

Eh sì, perché le statistiche parlano chiaro, anche se forse addirittura sottostimano il fenomeno.
Nel corso degli ultimi venti anni sono state introdotte numerose "fattispecie" di lavoro a tempo determinato, ci sono gli interim, i cococo, i cocopro, i coccodè e molteplici altri lavori "volatili" (pare ci siano quasi 50 specie "ornitologiche" differenti), ma fra le infinite differenze tra di loro, TUTTE conservano un aspetto fondamentale rispetto al tanto vituperato posto fisso: il lavoro flessibile, o temporaneo che dir si voglia, è pagato dal 15% al 20% in meno, naturalmente a parità di qualifica e funzione.

A me la cosa suona un pochino "strana", a voi no?
Voglio dire, e vorrei chiedere alla cara ministra Cancellieri, ma ti puoi stupire che gli italiani siano "fermi" al posto fisso, laddove questo, oltre ad essere ovviamente più sicuro perché permanente è anche pagato di più? Davvero bisogna stupirsi o non sembra assolutamente ovvio?
Non sarebbe il caso, caro presidente Monti, invece di dire cose che suonano come la classica beffa dopo il danno, di chiedersi se la "noia" che scelgono gli italiani sia fondata da reali considerazioni di vantaggio economico?
Non sarebbe il caso, cari industriali "paraculi", di provare a retribuire il lavoro flassibile considerevolmente di più di quello fisso, come logica vuole e come è fatto normalmente in Europa del nord?
Tra l'altro in questo modo ci toglieremmo lo sfizio di capire se veramente gli italiani sono fermi a questo vizio, questo ritardo culturale, dell'attaccamento al posto fisso a tutti i costi, o se invece non sia che tutta questa storia della guerra al posto fisso non nasconda semplicemente un tentativo di "precarizzare" ulteriormente il lavoro in Italia, per poi inoltre pagarlo pure di meno.

Perché gli industriali non fanno la cosa che sembrerebbe assolutamente ovvia, ovvero chiamare un giovane e offrirgli un posto con retribuzione 1000 con contratto a tempo indeterminato, OPPURE 1500 (faccio per dire) con un contratto temporaneo?
Siamo sicuri che i giovani continuerebbero a stare attaccati al "posto fisso"?

Temo che la verità sia molto banale quanto evidente. Diciamo che il problema sembrerebbe essere di quelli degni di una considerazione "alla Catalano", parafrasando il comico della banda di Arbore: cosa è meglio un lavoro pagato bene, garantito e tutelato, e a tempo indeterminato, oppure un lavoro pagato peggio, senza garanzie, e a scadenza?

Voi che dite? La risposta è talmente scontata che non essendo i nostri giovani poi così coglioni, i paraculi di cui sopra, e i loro "compari di merenda" al governo, si trovano costretti a fare una riforma del mercato del lavoro per costringerli ad accettare la seconda alternativa...
Come dire: non ti piace la minestra ammuffita? Adesso ti levo tutto il resto dalla tavola così voglio vedere se te la mangi...