Ecco
le parole del ministro per le attività culturali, Lorenzo Ornaghi, ospite di un convegno a Stresa: “Uno stato sociale
garantito dallo Stato non sarà più possibile, qui come in nessun altro Paese
dell’Occidente. Il welfare – ha spiegato ancora il ministro – è stato una
grande trasformazione di tutto il Novecento, ma ha anche modificato, e talvolta
indebolito, il funzionamento della democrazia, perchè l’aspettativa generalizzata,
una volta diventata diritto, abbisogna di una soddisfazione che appesantisce i
costi dello Stato. E’ un’esperienza storica che ci lascia la necessità di dover
proteggere fasce ampie di cittadini al meglio possibile, ma che non potrà più
essere sostenuta con le risorse dello Stato. Da qui la necessità di trovare
nuove forme di cooperazione, partenariato, integrazione, tra pubblico statale e
privato sociale nelle diverse forme di welfare. Se non troviamo quelle – ha
concluso Ornaghi – non usciremo più da una crisi del welfare che è
irreversibile”.
Opinione
interessante, non c’è dubbio.
E’
infatti da notare, con estremo interesse, come un ministro della Repubblica sia
capace di stravolgere totalmente la valutazione dello Stato Sociale e a
mistificare l’argomento fino a ribaltarne il senso.
Dunque
secondo il prode Ornaghi lo “stato sociale garantito dallo Stato non sarà più
possibile”. E perciò da chi potrà venire l’offerta di welfare di cui i
cittadini abbisognano?
Il
ministro si abbandona alla pura farneticazione: “partenariato e privato
sociale”. Parafrasando Totò, il che non è poi così assurdo vista l’ascesa dei
“comici” nella politica italiana, mi viene da dire “ma mi faccia il piacere!”
Privato
sociale? Ma di cosa stiamo parlando? “Privato sociale” già è un ossimoro in
ternimi linguistici (se è privato non è sociale, e viceversa), e in termini
operativi non si capisce proprio come si possano coinvolgere capitali privati
in progetti che siano realmente di bene comune e non ulteriore business opportunamente
travestito.
La
verità è semplice, ma proprio semplice: può
esserci stato sociale solo in presenza di iniziativa statale, con capitali
pubblici, senza se, ma e forse.
Dunque
cosa resta della proposta di Ornaghi una volta sgombrato il campo di quella
postilla, vagamente consolatoria ma anacronistica, del “privato sociale”?
Presto
detto: lo stato sociale non sarà più possibile, ovvero dimenticatevelo.
E
perché bisogna dimenticarselo? Perché costa troppo, ovvio, no?
Notate
il pensiero che larvatamente si insinua nella mente del lettore-cittadino
scorrendo la sua dichiarazione: lo stato
sociale è una spesa, anzi, un lusso!
Ecco
il ribaltamente del senso. Il welfare, lungi dall’essere una pura e semplice
spesa, è il fondamento stesso della più grande realizzazione dell’umanità: il
concetto di Stato, cioè il vivere in una comunità in cui una parte delle
risorse vengono condivise allo scopo di costruire un sistema di garanzie
protettive a vantaggio di tutta la comunità stessa.
In
altre parole, se non c’è welfare non c’è
proprio lo Stato stesso! E’ il concetto di Stato che smette di esistere.
Notate
l’argomento chiave dell’Ornaghi-pensiero: “l’aspettativa generalizzata, una
volta diventata diritto, abbisogna di una soddisfazione che appesantisce i
costi dello Stato”.
Ripensiamo
un attimo a questo passaggio. I costi dello Stato da chi sono sostenuti se non
dai cittadini stessi? Quindi se io cittadino pago di tasca mia un diritto per quale motivo dovrei accettare di
sentirmi dire che quel diritto non può
essere soddisfatto perché troppo costoso?
Ovvero:
cosa ci fanno dei miei soldi gli
amministratori dello Stato ché dovrebbero spenderli secondo le mie indicazioni
e non secondo il loro capriccio o presunzione?
E’
lecito che un ministro della Repubblica, cioè un amministratore dei soldi
pubblici, mi dica che non può più mantenere un certo livello di welfare e non
chiarisca invece se e dove ci possono essere altri capitoli della spesa
pubblica da tagliare invece dello stato sociale?
Che
cosa ci fanno i nostri governi dei soldi, tantissimi, che incamerano dal
gettito fiscale che i cittadini versano alle casse dello Stato?
E’
giusto tagliare la spesa per sanità, scuola, università e ricerca,
infrastrutture pubbliche per comprare invece degli aerei da guerra che non solo
costano uno sproposito ma sono anche inutili e contrari alla Costituzione?
E’
giusto che un amministratore dello Stato che “dimentica” di incassare una
importante parte del gettito fiscale, a tutto vantaggio di una “minoranza
qualificata” della popolazione, dica che l’attuale livello di welfare è
insostenibile invece di cominciare ad
esigere con fermezza il gettito evaso?
E’
giusto che un ceto politico che costa il
quadruplo di quello di tutti gli altri paesi occidentali possa fare questi
discorsi ai cittadini?
Notate
anche un’altra cosa, anch’essa subdola.
Ogni
qualvolta i politici al governo (salvo poi cambiare faccia quando si ritrovano
all’opposizione) parlano di stato sociale e welfare usano parole che portano
implicitamente alla identificazione welfare=assistenzialismo.
Si
inizia a parlare dei dipendenti pubblici fannulloni, delle spese sanitarie
inutili, delle scuole spendaccione, delle false pensioni d’invalidità,
eccetera.
Questo
serve per tentare di convincere il popolo bue che in fondo lo stato sociale è soprattutto tutela dei parassitismi più
beceri.
E’ falso!
Welfare
è tutt’altro. La finalità del welfare è quella di costruire un sistema di
garanzie e protezioni che mantengono un alto livello di benessere nella
popolazione, in tutta la popolazione.
E
ciò, al passo successivo, diventa economia sana e prospera, quindi alti livelli
di consumo ed occupazione, e quindi ancora alto gettito fiscale, che in
sostanza rende il “costo” del welfare sempre più sostenibile.
In
altre parole un buon welfare è il punto
di partenza di quel circolo virtuoso che chiamiamo anche benessere diffuso.
Altro
che assistenzialismo!
Che
poi in Italia, nell’italietta dei furbetti, una buona parte della spesa sociale
sia divenuta negli anni protezione di parassiti di varia foggia è un malcostume
che deve la sua prima ragione alla politica
cialtrona del voto di scambio.
Ma
non è certo con lo smantellamento del sistema di welfare che risolviamo il
problema della cialtroneria di politici e cittadini parassiti!
Facciamo
allora uno sforzo per riportare il discorso sul welfare al suo vero senso,
cominciando con l’evidenza che il livello attuale di spesa sociale non è
coperta dalle entrate dello Stato.
Il
punto fermo del discorso è questo: il
livello attuale di welfare in Italia non è affatto eccessivo!
Anzi,
per certi aspetti andrebbe addirittura rafforzato. Ad esempio l’Italia è uno
dei pochissimi paesi europei a non prevedere alcuna forma di reddito di
cittadinanza.
Che
le pensioni e gli ammortizzatori sociali siano in linea con il resto
dell’Occidente è un fatto assodato.
Ed
è assolutamente falso un altro luogo comune che ha attecchito con ostinazione
nel popolo-bue, ovvero che in Italia ci sono “troppi dipendenti pubblici”.
La
stessa spesa sanitaria, pur essendo molto squilibrata e in certe regioni
sicuramente fuori controllo non è assurdamente alta nel complesso, ma
ricordiamoci anche che produce un sistema sanitario che è considerato il
migliore al mondo insieme a quello francese (anche qui il popolo-bue,
opportunamente “distratto” dalla propaganda mediatica, preferisce invece
esercitarsi sterilmente sui “tantissimi”, in realtà pochissimi, casi di
malasanità).
Su
università e ricerca scientifica è invece tristemente vero che la nostra spesa
è decisamente inferiore a quella degli altri paesi.
E
quindi, dove sta tutta questa folle
spesa pubblica per mantenere lo stato sociale?
Semplicemente
non c’è.
Allora
ripartiamo col nostro ragionamento: siccome l’attuale livello di welfare non è
affatto eccessivo, e siccome la pressione fiscale (ovvero le entrate dello
Stato) è invece molto elevata, come mai
lo Stato non ce la fa a mantenerlo?
Bene,
la risposta cade da sola, come un frutto maturo.
E’
una risposta semplice semplice, tanto semplice quanto sgradevole per chi deve
amministrare la macchina statale italiana.
Lo stato non ce la fa
perché spende malissimo, oppure spreca, i soldi pubblici!
Quindi,
caro ministro Ornaghi, invece di sproloquiare sul welfare, argomento sul quale
lei dimostra scarsa comprensione, perché non comincia, lei e tutti i suoi
colleghi, a far bene il suo lavoro, ovvero ad amministrare bene la cosa pubblica?