Questo è l'argomento finale, una sorta di extrema ratio, a cui il popolo bue si
aggrappa per difendere un imprenditore che va a finire nei guai.
Mettiamo caso – pura illazione, s’intende... – che un
famoso imprenditore, di quelli per intenderci che riempiono le cronache sia
finanziarie sia rosa (ma siccome voglio fare un discorso generale non farò
nomi), venga sospettato di reati; che ne so, una bancarotta fraudolenta, una
corruzione di qualche pubblico ufficiale, una evasione fiscale; oppure si
ritrovi improvvisamente coinvolto in qualche scandalo di appalti truccati,
truffe verso risparmiatori, finanziamenti illeciti alla politica; o magari
semplicemente sia protagonista di qualche storia torbida di sesso o droga o più
verosimilmente entrambe.
Bene, in questi casi se ci si trova a discutere in un
gruppo di persone della vicenda, si troverà immancabilmente almeno uno, il
perfetto uomo-bue, di quelli che nascono con l'imbasto attaccato sulle spalle e
non se lo staccheranno mai, anzi neppure si accorgeranno mai di averlo, che
prenderà le accorate difese dell'imprenditore di cui sopra, arrampicandosi
sugli specchi per difendere il suo eroe proditoriamente ingiuriato.
Man mano che gli argomenti contro il suo vate si
assommano (perché è un classico che questi grandi protagonisti del capitalismo
si distinguano per aver commesso non una singola porcata, bensì quasi sempre
una intera e interminabile teoria di operazioni al limite della morale e della
legge, e spesso ben oltre quel limite) la difesa d'ufficio perde vigore fino al
punto in cui, incapace di reggere oltre il peso delle accuse, l'uomo-bue mette
sul piatto della discussione l'ultima carta, l'extrema ratio di cui sopra: "sarà anche vero quello che dicono
contro di lui..." (ma in realtà l'uomo-bue non ci crede, perché lui crede
a qualunque stronzata provenga dal piccolo schermo, ma che il suo grande mito
possa essere in realtà un verme non lo crederà mai e poi mai, al limite sarà
stato ordito un complotto ai suoi danni) "... ma in fondo voglio ricordarvi
che con le sue aziende ha creato tantissimi posti di lavoro. Ma vi rendete
conto di quanti posti di lavoro ha creato negli anni? Migliaia! E per me questo
è già sufficiente per dargli una medaglia e mandarlo assolto."
Ora, tralasciamo per un attimo una valutazione
puramente morale di questa argomentazione, per cui questo ragionamento sarebbe
immediatamente rigettato, perché secondo questa logica un efferato criminale
come Totò Riina dovrebbe essere considerato un benemerito, visto a quanti picciotti dà lavoro!
Voglio ragionare invece sul nucleo stesso del
ragionamento di cui sopra: gli imprenditori che creano i posti di lavoro.
Mi ci voglio soffermare perché non solo si tratta di
una affermazione assolutamente falsa, ma perché si tratta di una delle più odiose mistificazioni che la terribile
macchina di propaganda del Capitalismo ha messo in piedi.
Secondo questa concezione gli imprenditori
"creano" i posti di lavoro. Il lavoro è frutto di investimenti, di
capitali che generano aziende e quindi opportunità di lavoro. Gli imprenditori
sono il vero motore del lavoro, perché possono disporre di capitale di rischio
e quindi fare impresa da cui vengono i posti di lavoro di cui può poi disporre
il popolo.
Ebbene, quanto sopra è del tutto falso, smentito dalla
realtà dei fatti passati e presenti. Si tratta di una pura e semplice
mistificazione finalizzata ad amplificare i meriti del Capitalismo e a
persuadere il popolo-bue che è lui che genera ciò di cui si ha bisogno, cioè il
lavoro, e in ultima analisi che è un modello senza alternative credibili.
Ora, sebbene sia innegabile che i posti di lavoro siano
materialmente erogati dal sistema delle imprese (naturalmente sto
deliberatamente ignorando il lavoro nella pubblica amministrazione) non è
affatto ovvio che chi eroga un posto di lavoro, ovvero predisponga l'ufficio
e/o le attrezzature usate dal lavoratore e poi gli paghi lo stipendio, si possa
tout court anche considerare il creatore del posto di lavoro.
Chi è che veramente ha creato il presupposto per l'esistenza
di lavoro, infatti, non è l'impresa che
lo eroga quanto piuttosto la domanda del bene prodotto da quel lavoro.
Chi è che ha realmente "creato" una casa: il
costruttore che materialmente la edifica oppure il cliente che alla fine la
pagherà? O meglio ancora: il fatto che ci siano clienti disponibile ad
acquistare quella casa?
Attenzione, non si tratta di un puro sofisma! Non è una
questione di lana caprina come sembrerebbe ad un primo sguardo superficiale.
Si tratta in effetti di capire dove stia effettivamente
l'evento che genera in prima battuta il lavoro.
Basta ragionarci su un attimo per capire che
l'assunzione di un lavoratore in una azienda è il riflesso, la conseguenza, di
un'altra premessa, senza la quale quella assunzione non avrebbe mai luogo: il
fatto che quella azienda abbia commesse, clienti che richiedono i beni e/o i servizi
da lei prodotti.
Senza la domanda
non esiste né impresa né lavoro.
Dunque diventa evidente che è il mercato il vero "creatore" dei posti di lavoro.
Infatti nessun imprenditore assume lavoratori se non intravede concretamente un
mercato a cui rivolgersi.
Ma chi è questo "mercato" o questa
"domanda di benessere" di cui parliamo (ciò che gli economisti
definiscono domanda aggregata)?
Be', ma non è evidentissimo? SIAMO NOI.
E' la gente, il popolo, anzi meglio, il popolo-bue.
L'insieme dei cittadini, le famiglie, che con la loro richiesta di benessere
tiene in piedi tutta l'economia nonché sostiene il mercato del lavoro e, di
fatto, "crea" anche tutti i posti di lavoro disponibili.
L'imprenditore è semplicemente uno che coglie le
opportunità che il mercato offre. L'obiettivo dell'imprenditore, infatti non è
affatto creare posti di lavoro, bensì massimizzare i profitti. Fare soldi,
questa è la sua mira.
Intendiamoci bene, non c'è assolutamente nulla di
sbagliato né di moralmente indegno nella ambizione a guadagnare denaro, purché
si chiamino le cose con il loro nome, e non si tenti di invertire le cause con
gli effetti.
Un imprenditore vuole fare soldi, punto. Se può
produrre la stessa quantità di prodotti, con la medesima qualità, riducendo il
numero di addetti alla produzione, non avrà alcuno scrupolo a licenziare alcuni
suoi dipendenti, anzi sarà addirittura forzato dalla competizione a fare ciò.
Potremmo quindi azzardarci a dire che l'imprenditoria,
lungi dall'essere la supposta creatrice di posti di lavoro, è una macchina che
lavora per aumentare i profitti riducendo
i posti di lavoro erogati.
Se guardate con attenzione la realtà che ci circonda
cogliete l'essenza di verità della affermazione precedente.
Osservate infatti il fenomeno delle fusioni e
acquisizioni aziendali.
Perché avvengono? A cosa effettivamente servono?
Fate attenzione, quando due o più aziende si fondono
formando una unica ragione sociale, dopo qualche anno di assestamento la nuova
azienda creata si attesterà ad un numero di dipendenti che è immancabilmente
inferiore alla somma dei dipendenti delle aziende originarie.
Si conferma ancora una volta che gli imprenditori
mirano a ridurre i posti di lavoro, altro che crearli! Il che è ben ovvio,
visto che diminuire il costo del prodotto significa aumentare i margini di
profitto e la competitività.
Ma allora, tornando verso il punto di partenza di
questo mio ragionamento, come mai l'uomo-bue visto all'inizio sente il bisogno
di difendere ad ogni costo l'imprenditore?
Evidentemente perché, proprio in quanto uomo-bue, non
ha sufficiente indipendenza di pensiero, è
vittima di una propaganda mistificatoria che lo spinge ad ascrivere meriti
a chi in realtà non ne ha affatto.
Tutta la nostra società spinge con forza, attraverso
l'imposizione di modelli culturali, il popolo-bue verso l'adorazione del potente
e del ricco.
Naturalmente questi modelli culturali sono edificati
proprio da quella Plutocrazia che ne
trae legittimazione. D'altra parte i ricchi oggi detengono quasi tutto il
denaro e quindi il potere disponibile, e possono dunque condizionare la cultura
dominante attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
L'uomo-bue tutto questo non lo capisce affatto, e si
lascia convincere ad adorare proprio quel Potere che gli tiene il piede calcato
sull'imbasto che ha attaccato alla schiena e gli spinge la faccia giù verso la
mota, in modo che non possa più vedere com'è fatto realmente il mondo.
Soprattutto l'uomo-bue non comprende che il lavoro è
creato da lui, dalla gente, dal popolo, dalla comunità dei lavoratori stessi e
dalle loro famiglie.
Gli imprenditori non sono affatto necessari.
O, per meglio dire, se c'è un mercato forte,
un'economia solida, che generano una domanda altrettanto forte, nuovi
imprenditori spuntano dal nulla come funghi, perché così funziona il nostro
modello basato sulla libera iniziativa.
Se un imprenditore affonda, va in galera, fallisce o
quant'altro, non c'è alcun problema, non saranno persi i posti di lavoro
erogati dalla sua azienda, perché sicuramente nasceranno altre imprese a
prenderne il posto lasciato libero.
Di converso, se il mercato non tira e l'economia è in
crisi, non c'è imprenditore che tenga, i posti di lavoro si perdono
inesorabilmente, i licenziamenti fioccano.
Non ci credete? Non siete convinti?
Provate allora a ragionare un attimo sulla realtà italiana
odierna.
In Italia ci sono frotte di imprenditori, ricchissimi
fino all’opulenza, famiglie di capitalisti, gente che ha quantità enormi denaro
e quindi del tanto decantato “capitale di rischio”, tuttavia la disoccupazione
aumenta giorno dopo giorno, da anni.
Come mai tutti questi sedicenti “creatori di posti di
lavoro” non riescono ad invertire questa tendenza alla recessione?
Sarà mica perché per l’appunto è la domanda che manca e quindi anche i posti di lavoro diminuiscono
inesorabilmente?
L'attenzione dovrebbe essere tutta concentrata sul
benessere delle famiglie.
Questa dovrebbe essere la priorità, perché questo è ciò
che effettivamente tiene in piedi tutto quel complesso ambaradan che è la
nostra economia.
Però questa osservazione è pericolosa, è una vera e
propria eresia, un pensiero inquinante e deformante per la Plutocrazia al potere, perché da essa discende un corollario per
lei esiziale: se la barca fa acqua e
qualcuno è da buttare a mare, bisogna cominciare dai ricchi, non dai poveracci.
Pericolosissimo pensiero, inaccettabile.
E' necessario intorbidare la acque e convincere il popolo-bue
del contrario: se si buttano a mare i ricchi, i capitalisti, gli imprenditori,
non ci sarà più nessuno a "creare lavoro" e sarà un disastro!
E' assolutamente falso, anzi è vero il contrario: è togliendo risorse alle moltitudini per
salvare gli enormi patrimoni dei Plutocrati che si distrugge il lavoro e l’economia!
Ma che importa che sia falso, basta convincere i
pecoroni e il gioco è fatto...
Poi se la barca va a fondo chi se ne frega, quei
pezzenti anneghino pure tanto noi paperoni con tutti i soldi che abbiamo fatto
ci trasferiamo in qualche paradiso esotico a goderci il malloppo che abbiamo
già provveduto a portar via di nascosto!
Questo è il motivo per cui considero particolarmente odiosa la mistificazione in oggetto,
perché spinge la gente a sottovalutare il proprio ruolo centrale nella società
e ad attribuirlo a chi invece andrebbe a tutti gli effetti considerato un vero
e proprio parassita della collettività,
perché tale è a ben vedere chiunque disponga di grandissimi capitali accumulati
e quindi ricchezza tolta dal circuito del benessere condiviso dalla
collettività stessa.
Ritorniamo ad un tema già affrontato: la vera essenza del Potere siamo noi stessi,
la nostra ignoranza, la nostra incapacità di vedere le cose nella giusta
prospettiva, e di contro la nostra notevole propensione a farci convincere da
argomenti sbagliati, fuorvianti, contrari alla nostra stessa convenienza.
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