domenica 8 aprile 2012

Il mercato del lavoro secondo Fornero


Il ministro Elsa Fornero ospite a "Che tempo che fa" il 18 Marzo 2012, descrive la sua concezione del "mercato del lavoro" in questi termini:
«Oggi si tengono i lavoratori attaccati al posto di lavoro, anche se quel posto di lavoro non è più tanto produttivo pensando che tanto fuori non c'è niente; è questa la logica che deve  cambiare. Quindi il Governo intende attuare le cosiddette politiche attive per il lavoro, che servono ad aiutare i lavoratori che hanno perso il lavoro a cercare un altro posto».

Bellissimo schema logico, belle parole, tutto assolutamente perfetto.
Naturalmente è tutto perfetto se si verifica l'ipotesi che quell'altro posto di lavoro, quello che dovrebbe sostituire il lavoro che si è appena perduto esista, e che sia del lavoro "buono" e non del lavoro precario e/o pagato male.

Se invece questa ipotesi non si verifica cosa succede?
Non si sa, perché il ministro Fornero nel suo discorso purtroppo si è "dimenticata" di descrivere questa seconda possibilità: che sbadata, mannaggia!
Ma chiediamoci: è davvero una ipotesi remota questa, oppure è reale e purtroppo ben presente?
In altre parole, il mercato del lavoro in Italia è in espansione, statico, o in contrazione?
Perché sebbene la signora Fornero si sia dimenticata di discutere di questo "dettaglio", qualora dovessimo renderci conto che il mercato del lavoro sia in contrazione, tutto il suo discorso fatto sopra si dovrebbe tradurre in parole più semplici in: "il lavoratore che ha perso il lavoro vada a farsi fottere".
Ovvero, l'idea esposta sopra sarebbe null'altro che pura e semplice macelleria sociale.

Naturalmente la risposta delle teste d'uovo del Governo sarebbe la seguente: "è proprio tenere i lavoratori attaccati a posti di lavoro improduttivi che ha imbalsamato il mercato e causato la sua contrazione, ovvero basta ridare dinamicità a questo mercato perché torni ad essere in espansione e quindi il progetto sopra esposto sia efficace".

Anche qui, sebbene questa ulteriore contro-deduzione si presenti come un argomento molto ragionevole e reale, in realtà si tratta di una pia illusione.
Purtroppo, ahimé, la situazione è questa: non solo il mercato del lavoro in Italia è in contrazione, ma soprattutto ciò accade per motivi strutturali e permanenti, non per una semplice congiuntura sfavorevole. Ma neppure questo basta! Il punto è che questi motivi strutturali e permanenti, sono in larga parte fattori "esogeni", cioè generati al di fuori della realtà economica italiana e indipendenti dalla volontà dei nostri "attori", imprese, lavoratori o istituzioni statali che siano, incluso il Governo.

Diciamolo chiaro e tondo una volta per tutte: in Italia si sono persi, si perdono e si continueranno a perdere posti di lavoro al ritmo di parecchie centinaia di migliaia ogni anno. Su questo nessuno è in grado di farci nulla, di certo non le imprese, che anzi non fanno nient'altro che "delocalizzare" appena possibile, cioè spostando fabbriche, uffici e impianti all'estero, dove il costo del lavoro è inferiore e i mercati sono in espansione, e quindi contribuendo a far perdere migliaia di posti di lavoro.
Non ci può fare niente il Governo, perché nessun governo può agire direttamente sui meccanismi di una economia che è dominata dal principio del "mercato libero", cioè un mercato che si autoregola e non tollera l'intrusione di meccanismi di controllo che non siano la legge della domanda e dell'offerta.

E quindi?
Quindi la riforma del mercato del lavoro, quella attualmente in approvazione come qualsiasi altra riforma si fosse approvata, non serviranno assolutamente a nulla: continueremo a perdere posti di lavoro negli anni a venire, e anzi questa perdita di lavoro sarà anche accelerata dalla riforma attuale.
Che ne è quindi della frase della Fornero da cui siamo partiti? Sono solo un mucchio di sciocchezze, apparentemente cose ragionevoli ma in realtà senza alcun senso e legame con la realtà, solo illusioni.
Ne sapremo riparlare fra qualche anno, quando quello che ho appena scritto e che sembra solo la giaculatoria di un pessimista sfigato, si verificherà con puntualità cronometrica.

Se volessimo invece veramente analizzare il mercato del lavoro italiano, dovremmo cominciare a vedere quei "fattori esogeni" di cui parlavo sopra, quelli che spingono il nostro sistema economico ad avere sempre meno persone al lavoro a parità di prodotto ottenuto.
In primo luogo, la globalizzazione. Il fatto che possano entrare in competizione economie basate su popoli con livelli di qualità di vita enormemente differenti produce un effetto chiarissimo quanto devastante: la produzione si sposta inevitabilmente verso le aree produttive con basso costo del lavoro.

Per quale motivo tenere una fabbrica in Italia, dove gli operai costano, quando la si può aprire in Cina, dove lo stesso prodotto si ottiene con un quarto del costo?
Ecco quindi la "delocalizzazione", logico corollario della "globalizzazione", e subito dopo le fabbriche italiane che chiudono e i lavoratori italiani licenziati, senza che esista alcun posto di lavoro alternativo, come sarebbe nella favoletta zuccherosa della Fornero, perché quei posti di lavoro si sono perduti, qualcun altro sta producendo quelle cose, in un altro angolo di mondo.

Altro fattore "globale": l'innovazione tecnologica, che procede a passo spedito e non si può certo fermare, e che consegna alle aziende continuamente strumenti per ottenere il prodotto con un numero inferiore di addetti alla produzione.
La tecnologia avanza incessantemente, nuove macchine utensili, nuovi attrezzi e apparecchiature automatiche, nuovi computer, nuovi apparati robotici, fanno sì che quello che ieri richiedeva 10 addetti, oggi ne richieda 8, domani 5 e dopodomani 2.

Nel frattempo aumenta la nostra domanda di benessere in modo da creare nuovi posti di lavoro a compensare quelli che si perdono? Assolutamente no, neanche a pensarci, non è possibile mantenere il passo del progresso tecnologico con nuova domanda di beni, non è pensabile. Di certo non da noi in Occidente, dove il livello di qualità della vita è già molto alto e non è verosimile che possa aumentare seguendo il passo dell'impetuoso progresso tecnologico.

Dunque ulteriori posti di lavoro che si perdono, e di nuovo posti effettivamente persi, cioè per cui il mercato del lavoro non offrirà alcuna contropartita. Chi perde quel lavoro non ne troverà altro, semmai "lavoretti" a tempo parziale e mal pagati, e dovrebbe pure considerarsi fortunato!
Questo è la realtà, amarissima e bruttissima quanto si vuole, ma la realtà.
E non guardare in faccia la realtà, sognando invece che si possa cambiare con delle riformine che neppure sfiorano la cause vere del problema, significa solo illudersi e continuare a marciare tranquilli verso il baratro.

Questa è la scelta del nostro competentissimo Governo Tecnico, e che Dio ci protegga...

Poi si tratterebbe di capire se questo "disastro annunciato" sia una scelta dettata da incompetenza o da calcolo opportunistico basato su convenienze "occulte", ma questo è un'altra questione su cui tornerò.

Ma soprattutto si tratterebbe di capire se davvero il Governo e la società tutta non possono farci niente, se dobbiamo rassegnarci a questa sorta di "estinzione annunciata", oppure ci sarebbero azioni da intraprendere, a patto naturalmente di fronteggiare i veri problemi e non i donchisciotteschi mulini a vento che la classe dirigente attuale ci ha messo davanti agli occhi.

Ma anche questa è un'altra storia...

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