Il ministro Elsa Fornero
ospite a "Che tempo che fa" il 18 Marzo 2012, descrive
la sua concezione del "mercato del lavoro" in questi termini:
«Oggi
si tengono i lavoratori attaccati al posto di lavoro, anche se quel posto di
lavoro non è più tanto produttivo pensando che tanto fuori non c'è niente; è
questa la logica che deve cambiare.
Quindi il Governo intende attuare le cosiddette politiche attive per il lavoro,
che servono ad aiutare i lavoratori che hanno perso il lavoro a cercare un
altro posto».
Bellissimo
schema logico, belle parole, tutto assolutamente perfetto.
Naturalmente
è tutto perfetto se si verifica l'ipotesi che quell'altro posto di lavoro,
quello che dovrebbe sostituire il lavoro che si è appena perduto esista, e che
sia del lavoro "buono" e non del lavoro precario e/o pagato male.
Se
invece questa ipotesi non si verifica cosa succede?
Non
si sa, perché il ministro Fornero nel suo discorso purtroppo si è
"dimenticata" di descrivere questa seconda possibilità: che sbadata,
mannaggia!
Ma
chiediamoci: è davvero una ipotesi remota questa, oppure è reale e purtroppo
ben presente?
In
altre parole, il mercato del lavoro in Italia è in espansione, statico, o in
contrazione?
Perché
sebbene la signora Fornero si sia dimenticata di discutere di questo
"dettaglio", qualora dovessimo renderci conto che il mercato del
lavoro sia in contrazione, tutto il suo discorso fatto sopra si dovrebbe
tradurre in parole più semplici in: "il lavoratore che ha perso il lavoro vada
a farsi fottere".
Ovvero,
l'idea esposta sopra sarebbe null'altro che pura e semplice macelleria sociale.
Naturalmente
la risposta delle teste d'uovo del Governo sarebbe la seguente: "è proprio
tenere i lavoratori attaccati a posti di lavoro improduttivi che ha imbalsamato
il mercato e causato la sua contrazione, ovvero basta ridare dinamicità a
questo mercato perché torni ad essere in espansione e quindi il progetto sopra esposto
sia efficace".
Anche
qui, sebbene questa ulteriore contro-deduzione si presenti come un argomento
molto ragionevole e reale, in realtà si tratta di una pia illusione.
Purtroppo,
ahimé, la situazione è questa: non solo il mercato del lavoro in Italia è in contrazione, ma soprattutto ciò
accade per motivi strutturali e permanenti,
non per una semplice congiuntura sfavorevole. Ma neppure questo basta! Il punto
è che questi motivi strutturali e permanenti, sono in larga parte fattori "esogeni", cioè generati al
di fuori della realtà economica italiana e indipendenti dalla volontà dei nostri
"attori", imprese, lavoratori o istituzioni statali che siano,
incluso il Governo.
Diciamolo
chiaro e tondo una volta per tutte: in Italia
si sono persi, si perdono e si continueranno a perdere posti di lavoro al ritmo
di parecchie centinaia di migliaia ogni anno. Su questo nessuno è in grado
di farci nulla, di certo non le imprese, che anzi non fanno nient'altro che "delocalizzare"
appena possibile, cioè spostando fabbriche, uffici e impianti all'estero, dove
il costo del lavoro è inferiore e i mercati sono in espansione, e quindi
contribuendo a far perdere migliaia di posti di lavoro.
Non
ci può fare niente il Governo, perché nessun governo può agire direttamente sui
meccanismi di una economia che è dominata dal principio del "mercato
libero", cioè un mercato che si autoregola e non tollera l'intrusione di
meccanismi di controllo che non siano la legge della domanda e dell'offerta.
E
quindi?
Quindi
la riforma del mercato del lavoro, quella attualmente in approvazione come
qualsiasi altra riforma si fosse approvata, non serviranno assolutamente a nulla: continueremo a perdere posti
di lavoro negli anni a venire, e anzi questa perdita di lavoro sarà anche
accelerata dalla riforma attuale.
Che
ne è quindi della frase della Fornero da cui siamo partiti? Sono solo un
mucchio di sciocchezze, apparentemente cose ragionevoli ma in realtà senza
alcun senso e legame con la realtà, solo illusioni.
Ne
sapremo riparlare fra qualche anno, quando quello che ho appena scritto e che
sembra solo la giaculatoria di un pessimista sfigato, si verificherà con puntualità
cronometrica.
Se
volessimo invece veramente analizzare il
mercato del lavoro italiano, dovremmo cominciare a vedere quei "fattori
esogeni" di cui parlavo sopra, quelli che spingono il nostro sistema
economico ad avere sempre meno persone al lavoro a parità di prodotto ottenuto.
In
primo luogo, la globalizzazione. Il
fatto che possano entrare in competizione economie basate su popoli con livelli
di qualità di vita enormemente differenti produce un effetto chiarissimo quanto
devastante: la produzione si sposta inevitabilmente verso le aree produttive
con basso costo del lavoro.
Per
quale motivo tenere una fabbrica in Italia, dove gli operai costano, quando la
si può aprire in Cina, dove lo stesso prodotto si ottiene con un quarto del
costo?
Ecco
quindi la "delocalizzazione", logico corollario della
"globalizzazione", e subito dopo le fabbriche italiane che chiudono e
i lavoratori italiani licenziati, senza
che esista alcun posto di lavoro alternativo, come sarebbe nella favoletta zuccherosa
della Fornero, perché quei posti di lavoro si sono perduti, qualcun altro sta
producendo quelle cose, in un altro angolo di mondo.
Altro
fattore "globale": l'innovazione
tecnologica, che procede a passo spedito e non si può certo fermare, e che
consegna alle aziende continuamente strumenti per ottenere il prodotto con un
numero inferiore di addetti alla produzione.
La
tecnologia avanza incessantemente, nuove macchine utensili, nuovi attrezzi e
apparecchiature automatiche, nuovi computer, nuovi apparati robotici, fanno sì
che quello che ieri richiedeva 10 addetti, oggi ne richieda 8, domani 5 e
dopodomani 2.
Nel
frattempo aumenta la nostra domanda di benessere in modo da creare nuovi posti
di lavoro a compensare quelli che si perdono? Assolutamente no, neanche a
pensarci, non è possibile mantenere il passo del progresso tecnologico con
nuova domanda di beni, non è pensabile. Di certo non da noi in Occidente, dove
il livello di qualità della vita è già molto alto e non è verosimile che possa
aumentare seguendo il passo dell'impetuoso progresso tecnologico.
Dunque
ulteriori posti di lavoro che si perdono, e di nuovo posti effettivamente persi,
cioè per cui il mercato del lavoro non offrirà alcuna contropartita. Chi perde quel lavoro non ne troverà altro,
semmai "lavoretti" a tempo parziale e mal pagati, e dovrebbe pure
considerarsi fortunato!
Questo
è la realtà, amarissima e bruttissima quanto si vuole, ma la realtà.
E
non guardare in faccia la realtà, sognando invece che si possa cambiare con
delle riformine che neppure sfiorano la cause vere del problema, significa solo illudersi e continuare a
marciare tranquilli verso il baratro.
Questa
è la scelta del nostro competentissimo Governo Tecnico, e che Dio ci
protegga...
Poi
si tratterebbe di capire se questo "disastro annunciato" sia una
scelta dettata da incompetenza o da calcolo opportunistico basato su
convenienze "occulte", ma questo è un'altra questione su cui tornerò.
Ma
soprattutto si tratterebbe di capire se davvero il Governo e la società tutta
non possono farci niente, se dobbiamo rassegnarci a questa sorta di "estinzione
annunciata", oppure ci sarebbero azioni da intraprendere, a patto
naturalmente di fronteggiare i veri
problemi e non i donchisciotteschi mulini a vento che la classe dirigente
attuale ci ha messo davanti agli occhi.
Ma
anche questa è un'altra storia...
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