domenica 13 maggio 2012

I blog e la stampa clandestina


Ebbene, sì, anch'io avrei potuto essere incriminato per aver commesso il reato di "stampa clandestina" a causa di questo blog.
E' accaduto al giornalista e blogger Carlo Ruta, per aver pubblicato il suo blog www.accadeinsicilia.net senza preventiva registrazione della "testata" in Tribunale.
Sembra impossibile, ma nel nostro arcaico, intricatissimo e anacronistico ordinamento c'è, fra le varie assurdità, anche questa. E' un retaggio del codice fascista, che naturalmente tra le sue priorità non aveva certo la libertà di espressione, sancita tra i diritti fondamentali dell'uomo fin dalla Dichiarazione Universale del 1789 (più di due secoli fa!), quanto piuttosto dalla necessità di imbrigliare questa libertà.
Cosa ci faccia ancora questa anticaglia illiberale ed insensata nel nostro ordinamento giuridico non è dato sapere. E' mai possibile che a distanza di più di sessanta anni dalla dichiarazione della Repubblica esistano ancora tante norme nei codici della legge che vengono da una concezione totalitaria dello Stato, da una impostazione di regime che cerca di negare diritti fondamentali invece che rafforzarli e tutelarli?
Che classe politica abbiamo se in sessanta anni non è riuscita a riscrivere i vari Codici, adattandoli ad una forma di Stato completamente differente?
Fatto sta questo reato di "stampa clandestina" per i periodici non registrati in Tribunale, esiste ancora oggi e fornisce il destro per attaccare in qualche modo anche la fiorente libertà di espressione sulla Rete.
E' di pochi giorni la notizia che la Cassazione, il terzo grado di giudizio, ha finalmente assolto il blogger Ruta con la motivazione che il "fatto non sussiste".
Possiamo anche tirare quel sospirato "meno male" e ringraziare il buon Carlo Ruta che ha affrontato tutta la lunga e penosa via crucis dei tre gradi di giudizio per arrivare ad ottenere la sospirata assoluzione.
Sì, siamo tutti sollevati, perché una sentenza, soprattutto della Cassazione, fa giurisprudenza, e adesso dovranno trovare altri modi per metterci la museruola: un altra delle numerose frecce all'arco della censura al servizio dei Poteri Forti è stata spuntata!
Tuttavia a me resta un'inquietudine di fondo, una sorta di malessere, di cui vi spiego i motivi.
Come è potuto succedere che sia stato necessario arrivare al terzo grado di giudizio per affermare un cosa assolutamente ovvia e scontata, per cui in tutto il resto del mondo avanzato non ci sarebbe stato neppure bisogno di discutere, e men che meno ricorrere alla magistratura?
Non vorrei mettermi a discutere il merito tecnico della questione, cioè se un blog possa essere considerato un "periodico a stampa". E' vero che non è stampato, ma potrebbe esserlo da chiunque. E' pure vero che non si tratti di un periodico vero e proprio, perché non ha una cadenza prefissata. Tuttavia queste cose sono appunto tecnicismi, soggetti ad una interpretazione da parte di un giudice, che spesso non ha neppure nozioni sufficientemente radicate su Internet e Informatica. Tant'è che ben due giudici hanno ritenuto di poter assimilare un blog ad una stampa periodica ed emettere quindi la sentenza di condanna.
Il punto è proprio questo, ed è il punto cardine: l'esistenza nel nostro ordinamento di "mostruosità giuridiche", norme figlie di altre culture, vecchie come il cucco, anacronistiche, inattuabili. Quando questa è la realtà, può sempre uscire un azzeccagarbugli che può sfruttare questi obbrobri per imporre una giustizia che sfugge alle più elementari nozioni di logica e buon senso.
E' infatti assolutamente ovvio, scontato ed evidente che oggi un blog è semplicemente un mezzo di espressione della propria opinione, niente di più niente di meno. E' del tutto fuori dalla realtà il poter considerare un qualsivoglia blog come una testata giornalistica, di quelle che richiedono una registrazione presso il Tribunale. Di questa affermazione non c'è necessità di argomentare per dimostrarne la verità: è nella realtà quotidiana, intorno a noi. Sta scritta nella essenza stessa della Rete per come si è andata consolidando in questi anni. E il fatto che si tratti di una verità "virtuale", come tutto il mondo di Internet, d'altro canto, non indebolisce di un'oncia la sua verità.
E invece questa ovvietà non viene raccolta dalla normativa attuale, fino al punto che due giudici hanno ritenuto di violare il buon senso ed emettere due sentenze "assurde", che però hanno evidentemente trovato supporto in codici anacronistici ed incongrui, che nessuno si degna di aggiornare per adattarli ad una società che, se non altro tecnologicamente, è lontanissima da quella che ha generato il corpus legislativo che ancora ci trasciniamo appresso.
Secondo me, quindi, non è che ci siano tanti elementi per gioire. Anche questa vicenda ha dimostrato che in fondo siamo largamente in balia di un sistema che è fatto per essere manovrato dai potenti, piuttosto che tutelare i più deboli.
Carlo Ruta ce l'ha fatta, e tutti noi con lui, ma con troppa fatica!

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