Ebbene,
sì, anch'io avrei potuto essere incriminato per aver commesso il reato di
"stampa clandestina" a causa di questo blog.
E'
accaduto al giornalista e blogger Carlo Ruta, per aver pubblicato il suo blog
www.accadeinsicilia.net senza preventiva registrazione della "testata"
in Tribunale.
Sembra
impossibile, ma nel nostro arcaico, intricatissimo e anacronistico ordinamento
c'è, fra le varie assurdità, anche questa. E' un retaggio del codice fascista,
che naturalmente tra le sue priorità non aveva certo la libertà di espressione,
sancita tra i diritti fondamentali dell'uomo fin dalla Dichiarazione Universale
del 1789 (più di due secoli fa!), quanto piuttosto dalla necessità di
imbrigliare questa libertà.
Cosa
ci faccia ancora questa anticaglia
illiberale ed insensata nel nostro ordinamento giuridico non è dato sapere.
E' mai possibile che a distanza di più di sessanta anni dalla dichiarazione
della Repubblica esistano ancora tante norme nei codici della legge che vengono
da una concezione totalitaria dello Stato, da una impostazione di regime che
cerca di negare diritti fondamentali invece che rafforzarli e tutelarli?
Che
classe politica abbiamo se in sessanta anni non è riuscita a riscrivere i vari
Codici, adattandoli ad una forma di Stato completamente differente?
Fatto
sta questo reato di "stampa clandestina" per i periodici non
registrati in Tribunale, esiste ancora oggi e fornisce il destro per attaccare
in qualche modo anche la fiorente libertà di espressione sulla Rete.
E'
di pochi giorni la notizia che la Cassazione, il terzo grado di giudizio, ha
finalmente assolto il blogger Ruta con la motivazione che il "fatto non
sussiste".
Possiamo
anche tirare quel sospirato "meno male" e ringraziare il buon Carlo
Ruta che ha affrontato tutta la lunga e penosa via crucis dei tre gradi di giudizio per arrivare ad ottenere la
sospirata assoluzione.
Sì,
siamo tutti sollevati, perché una sentenza, soprattutto della Cassazione, fa
giurisprudenza, e adesso dovranno trovare altri modi per metterci la museruola:
un altra delle numerose frecce all'arco della censura al servizio dei Poteri
Forti è stata spuntata!
Tuttavia
a me resta un'inquietudine di fondo, una sorta di malessere, di cui vi spiego i
motivi.
Come
è potuto succedere che sia stato necessario arrivare al terzo grado di giudizio
per affermare un cosa assolutamente ovvia e scontata, per cui in tutto il resto
del mondo avanzato non ci sarebbe stato neppure bisogno di discutere, e men che
meno ricorrere alla magistratura?
Non
vorrei mettermi a discutere il merito tecnico della questione, cioè se un blog
possa essere considerato un "periodico a stampa". E' vero che non è
stampato, ma potrebbe esserlo da chiunque. E' pure vero che non si tratti di un
periodico vero e proprio, perché non ha una cadenza prefissata. Tuttavia queste
cose sono appunto tecnicismi, soggetti ad una interpretazione da parte di un
giudice, che spesso non ha neppure nozioni sufficientemente radicate su
Internet e Informatica. Tant'è che ben due giudici hanno ritenuto di poter
assimilare un blog ad una stampa periodica ed emettere quindi la sentenza di
condanna.
Il
punto è proprio questo, ed è il punto cardine: l'esistenza nel nostro ordinamento
di "mostruosità giuridiche", norme figlie di altre culture, vecchie
come il cucco, anacronistiche, inattuabili. Quando questa è la realtà, può
sempre uscire un azzeccagarbugli che può sfruttare questi obbrobri per imporre
una giustizia che sfugge alle più elementari nozioni di logica e buon senso.
E' infatti assolutamente ovvio,
scontato ed evidente che oggi un blog è semplicemente un mezzo di espressione
della propria opinione, niente di più niente di meno. E' del
tutto fuori dalla realtà il poter considerare un qualsivoglia blog come una
testata giornalistica, di quelle che richiedono una registrazione presso il
Tribunale. Di questa affermazione non c'è necessità di argomentare per
dimostrarne la verità: è nella realtà quotidiana, intorno a noi. Sta scritta
nella essenza stessa della Rete per come si è andata consolidando in questi
anni. E il fatto che si tratti di una verità "virtuale", come tutto
il mondo di Internet, d'altro canto, non indebolisce di un'oncia la sua verità.
E
invece questa ovvietà non viene raccolta dalla normativa attuale, fino al punto
che due giudici hanno ritenuto di violare il buon senso ed emettere due
sentenze "assurde", che però hanno evidentemente trovato supporto in
codici anacronistici ed incongrui, che nessuno si degna di aggiornare per
adattarli ad una società che, se non altro tecnologicamente, è lontanissima da
quella che ha generato il corpus
legislativo che ancora ci trasciniamo appresso.
Secondo
me, quindi, non è che ci siano tanti elementi per gioire. Anche questa vicenda
ha dimostrato che in fondo siamo largamente in balia di un sistema che è fatto
per essere manovrato dai potenti, piuttosto che tutelare i più deboli.
Carlo
Ruta ce l'ha fatta, e tutti noi con lui, ma con troppa fatica!
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