martedì 26 giugno 2012

Cribbio, la signora Pivetti s’è indignata!

Leggo una notizia di qualche mese fa. L’Ufficio di Presidenza della Camera ha approvato una normativa che prevede che i benefici per gli ex Presidenti della Camera non saranno più a vita ma limitati nel tempo.

E pare che la nuova norma abbia proprio fatto infuriare l'illustre signora Irene Pivetti, ex-Presidente anch’ella, come certo tristemente ricorderete tutti.
Addirittura pare che l'eminente ex-politica ha annunciato che farà ricorso contro il provvedimento, descritto nientepopodimeno che come "tagli forcaioli come nella Russia zarista"!

Oh, badate bene, la signora farà ricorso non certo per difendere i suoi interessi, perché naturalmente per lei non prende nulla e non vuole nulla. Vuole tutelare le persone che lavorano per lei nella sua segreteria, chiede che siano "stabilizzate".

Cioè, prendete nota diligentemente, la signora per il fatto di essere stata presidente della Camera dal 1994 al 1996 (cioè due anni di Presidenza e poi fuori dalla politica da più di quindici anni) ha la possibilità di avere segretari (quanti non lo so ma di certo più di uno) pagati dallo Stato, nonché mantenersi due uffici nel centro di Roma (pare per più di 200 metri quadri, e di gran lusso).

Con i soldi dello Stato ha costituito un ONLUS, un meraviglioso contenitore di aria fritta, come chiunque può divertirsi a verificare di persona al seguente indirizzo http://www.ltbf.it.

E noi dovremmo continuare a pagare tutto questo, mentre la nostra eroina continua a prendere soldi a palate per le sue ridicole comparsate in vari programmi televisivi, per le sue rilevantissime opinioni come giornalista (del tipo di quando parlando dei superstiti dell'affondamento della barca albanese Qater Radës disse "buttateli a mare, che si raffreschino le idee").

Certo ci si chiede come mai non sia venuto in mente alla gloriosa ex-Presidente che forse - dico forse - dovendo cominciare a stabilizzare qualcuno in Italia, non sarebbe una cattiva idea cominciare con la gente normale, che lavora dalla mattina alla sera per quattro soldi per tirare avanti una famiglia.
O meglio ancora, non sarebbe male spendere il denaro pubblico per sostenere i tanti che sono in difficoltà, che hanno perso il lavoro, o i giovani che da anni non riescono a trovarlo.
Sarebbe sicuramente molto meglio, sì, spendere il denaro pubblico in questo modo, invece che continuare a bruciarlo in pagliacciate, dandolo a figli di papà e furbetti che da anni non fanno niente di utile dalla mattina alla sera, e si ingrassano come parassiti sguazzando nel baraccone del classico politico cialtrone ed inutile.

Visto che da sedici anni l'illustre signora Pivetti si mantiene un lussuoso carrozzone e un codazzo di sottopanza godendo di fondi pubblici in grande quantità, non potrebbe accontentarsi, visti i tempi di crisi, di quanto ha già sperperato fino ad oggi e cominciare a pagarsi con i soldi suoi, i suoi privilegi, i suoi lussi, i suoi sprechi, i suoi valletti personali?

Ma certo che no!
E' talmente abituata a godersi il denaro pubblico che adesso la prospettiva di dover cominciare a pagare i conti di tasca sua la fa addirittura indignare!

Ciò che invece fa indignare me è che si sia trattato del classico “taglio morbido”, visto che per gli ex-presidenti più recenti (Violante, Casini, Bertinotti e Fini) questo taglio non si applicherà.

giovedì 21 giugno 2012

Salviamo le banche spagnole!


La sapete quella del correntista convocato dal direttore della sua banca?
Allora, un tizio viene chiamato dal direttore della sua banca il quale, dopo averlo fatto accomodare, lo apostrofa dicendogli «Ma lei si rende conto di aver emesso degli assegni scoperti?»
L'uomo lo guarda perplesso e risponde «Ma che vuol dire, direttore?»
Il funzionario, allibito, replica «Come che vuol dire? Lei ha firmato degli assegni senza copertura, il suo conto è in rosso!»
«In... rosso?... cioè?»
Il direttore della banca non crede ai suoi orecchi, ma questo tipo dove vive?
«Sì, insomma, lei non ha più soldi in banca, anzi ha debiti! Ha capito adesso?»
L'uomo si apre ad un sorriso radioso, finalmente ha capito!
«Ah, adesso capisco! Va bene direttore, mi scuso e rimedio subito. Mi dica quanti soldi mancano, le faccio subito un assegno...»

A me questa barzelletta fa molto ridere, soprattutto perché trovo che esprima benissimo l'approccio schizofrenico che in tanti hanno verso il denaro in questo nostro scassatissimo mondo.

A questo proposito vi voglio raccontare un'altra storiella, ancora più divertente!
State a sentire.

Dunque l'Europa ha deciso di "salvare" le banche spagnole, indebitate fino al collo. Per farlo stanzierà 100 miliardi di euro, che gli saranno prestati all'interesse del 3%.
Questi 100 miliardi proverranno dall'EFSF, fondo salva-Stati per gli amici. Ovvero a pagare saranno gli Stati europei (cioè stringi stringi alla fin fine pagherà Pantalone, ovvero il popolo-bue, come al solito).
Una quota rilevante di questi 100 miliardi, circa 20 (per la precisione 19.8), saranno a carico dell'Italia.

Ma l'Italia... ce li ha questi 20 miliardi da prestare alle banche spagnole?
Ma figuriamoci, certo che no!
E quindi, come faremo?
Ma non c'è problema, come volete che faremo? Faremo come abbiamo fatto sempre, ovvero ce li faremo prestare.
E chi ci presterà questi 20 miliardi?
Be', potremmo utilizzare il solito canale, ben noto e collaudato, dei Titoli di Stato, giusto?
Giustissimo! E quindi, visto che con lo spread attuale gli interessi sui nostri titoli stanno intorno al 7% alla fine della fiera avremo realizzato questo meraviglioso scenario: ci faremo prestare 20 miliardi al 7% per prestarli a nostra volta a qualcun altro al 3%!

Che ne dite, non è divertentissima?
Io trovo che sia addirittura più divertente di quella vista prima.

Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risa se non fosse che... che... che...
Che non è una barzelletta, è tutto assolutamente, incredibilmente, assurdamente VERO!
Cioè SUL SERIO le "teste d'uovo" (evitate facili variazioni, per favore) che guidano le sorti europee hanno concepito questo geniale piano di salvataggio per le povere banche spagnole.

Notate bene, ciò che ci accingiamo a salvare con i nostri soldi, indebitandoci ulteriormente, non sono magari poveri cittadini spagnoli truffati da banche che hanno investito male e poi sono fallite.
Nooo! Fosse così sarebbe quanto meno concepibile.
Noi ci indebitiamo per salvare delle banche, proprio le banche, magari delle istituzioni guidate da imbecilli o squali (o tutt'e due) che hanno speculato fregandosene di dove si andava a finire, e probabilmente i responsabili del crac bancario spagnolo resteranno pure al loro posto con i loro lauti stipendi a molti zeri!

Ma non eravamo in un modello capitalistico?
Ma non era nel capitalismo che esisteva la competizione, per cui quando un'azienda fallisce semplicemente chiude la baracca e arriva il curatore fallimentare a smembrare l'azienda vendendo il vendibile?
Forse ricordo male io...

O forse siamo in una variante PARACULA del capitalismo, in cui i "soliti noti" fanno i capitalisti finché c'è da prendere, cioè con i profitti, mentre invece quando ci sono le perdite improvvisamente si scoprono tutti comunisti, e quindi concordemente tali perdite vengono "socializzate".

Fermate il mondo: voglio scendereee!

domenica 17 giugno 2012

Sfogliando la Margherita


Dunque l'organo dell'ex partito politico della Margherita si riunisce a Roma dopo lo scandalo dei fondi fatti sparire dall'ex tesoriere Luigi Lusi.
Si parla, dopo una perizia effettuata da una società di revisione di conti, di ben 26 milioni di euro di denaro pubblico, di uscite non documentate o irregolari.
Gli appartenenti all'ex partito si riuniscono per discutere il bilancio e concludono l'assemblea con la decisione di sciogliere il partito e mettere in liquidazione il suo patrimonio.
Fin qui tutto bene, anche se la decisione di sciogliere un partito già morto da anni non pare un gesto particolarmente audace.

Sul secondo punto, la liquidazione del patrimonio, avrei qualche dubbio. Cioè sul fatto che dentro la cassaforte della Margherita ci siano soldi in una qualche forma che possano realmente rifondere il contribuente italiano della ruberia subito, non ci conterei troppo sebbene Rutelli parli di "... devolvere ordinatamente denaro e beni che potranno superare i venti milioni di euro..."
Figuriamoci...

Ma è un'altra la storia che vorrei chiosare, qualcosa che ai miei occhi ha veramente dell'incredibile.
Dunque si convoca un'assemblea per fare luce su un enorme scandalo di appropriazione indebita di soldi pubblici da parte di un partito politico.
Una cosa per cui inevitabilmente i politici convolti di quel partito devono difendersi dal sospetto di aver rubato, sebbene tutti naturalmente si siano sempre affrettati a dichiararsi all'oscuro dei fatti e ingannati.

Ordunque si convoca un'assemblea e cosa si fa?
Incredibile dictu, la prima decisione presa è di proseguire i lavori A PORTE CHIUSE!
Ma come, devi discutere di soldi rubati alla collettività, devi difenderti dal sospetto di averli rubati tu quei soldi, per il tuo tornaconto, e invece di PRETENDERE la presenza della stampa e fare di tutto per dare massima PUBBLICITA' e TRASPARENZA all'assemblea, chiudi le porte e ne parli in privato con i tuoi "compagnetti di merenda"?

Qui ormai siamo alla pantomima della politica...

lunedì 21 maggio 2012

Le tasse e la ricetta magica di Monti


Innegabilmente essere laureati alla Bocconi ha vantaggi decisivi su tutti gli altri non-bocconiani in termini di comprensione della realtà e, soprattutto, capacità di trovare soluzioni brillanti ai problemi.
Dunque di fronte al problema tanto prioritario quanto vecchio e consolidato dell'evasione fiscale che ha generato il nostro attuale Debito Pubblico (su questo punto tornerò sicuramente, ma il fatto che il Debito Pubblico italiano sia diretta conseguenza di decenni di mancato gettito, basta l'aritmetica a dare indiscutibile certezza) il nostro eccelso Conducător ha coerentemente confermato il suo "massimo sostegno alla lotta all'evasione", ci ha ricordato ancora che "pagare le tasse è un dovere dei cittadini", e inoltre ha assicurato che "il governo sta lavorando per un fisco meno intrusivo".
Non so se avete apprezzato tutta la scienza che traspare da queste parole. La sapienza politico-economica di queste affermazioni è seconda solo alla prescrizione di Mary Poppins "basta un poco di zucchero e la pillola va giù".
Infatti, estrapolando dalle parole del Presidente un progetto politico, sembrerebbe che la sua ricetta per la riduzione dell'evasione fiscale sia qualcosa del tipo: rendiamo il fisco meno invasivo e in pari tempo ripetiamo continuamente ai concittadini che non pagare le tasse è brutto bruuuutto, e voilà, il gioco è fatto.
Io, essendo un ignorante e rozzo non-bocconiano penserei che "massimo sostegno alla lotta all'evasione" e "lavorare per un fisco meno intrusivo" siano due fatti in lampante contraddizione; ma per carità, di fronte a cotanta scienza abbasso il capo...
Tanto più - argomenterei - che essendo l'evasione radicata da molti decenni in Italia, rompere questo andazzo ed avere una VERA, SERIA E RILEVANTE lotta all'evasione che porti ad un consistente recupero di gettito (altro che la "sciocchezzuola" dei 12.7 miliardi recuperati nel 2011, a fronte di una evasione che è almeno dieci volte tanto) richiederebbe un netto segnale di discontinuità rispetto alla imbelle tolleranza del passato.
Staremo a vedere, anche se a prima vista questa ricetta sembra un'ennesima riproposizione dei tanti teatrini del passato, a partire da quelli di stampo democristiano, che in realtà celavano la consueta strategia di non toccare quello che possiamo a ragione chiamare "regime fiscale agevolato" a favore del dieci per centi dei più alti redditi italiani.
Infatti il messaggio di fondo era il seguente: le tasse? Be', qualcosa pagate anche voi, dài... Senza impegno, eh! Tanto non vi controlla nessuno, state tranquilli... E soprattutto non rischiate niente, seppure vi arriva qualche accertamentino, di galera comunque non si parlerà mai... Al limite vi potrebbe toccare di restituire una parte di quello che vi siete fregati, ma al massimo un 30%, via... Alla fin fine vi sarà comunque convenuto!

domenica 13 maggio 2012

I blog e la stampa clandestina


Ebbene, sì, anch'io avrei potuto essere incriminato per aver commesso il reato di "stampa clandestina" a causa di questo blog.
E' accaduto al giornalista e blogger Carlo Ruta, per aver pubblicato il suo blog www.accadeinsicilia.net senza preventiva registrazione della "testata" in Tribunale.
Sembra impossibile, ma nel nostro arcaico, intricatissimo e anacronistico ordinamento c'è, fra le varie assurdità, anche questa. E' un retaggio del codice fascista, che naturalmente tra le sue priorità non aveva certo la libertà di espressione, sancita tra i diritti fondamentali dell'uomo fin dalla Dichiarazione Universale del 1789 (più di due secoli fa!), quanto piuttosto dalla necessità di imbrigliare questa libertà.
Cosa ci faccia ancora questa anticaglia illiberale ed insensata nel nostro ordinamento giuridico non è dato sapere. E' mai possibile che a distanza di più di sessanta anni dalla dichiarazione della Repubblica esistano ancora tante norme nei codici della legge che vengono da una concezione totalitaria dello Stato, da una impostazione di regime che cerca di negare diritti fondamentali invece che rafforzarli e tutelarli?
Che classe politica abbiamo se in sessanta anni non è riuscita a riscrivere i vari Codici, adattandoli ad una forma di Stato completamente differente?
Fatto sta questo reato di "stampa clandestina" per i periodici non registrati in Tribunale, esiste ancora oggi e fornisce il destro per attaccare in qualche modo anche la fiorente libertà di espressione sulla Rete.
E' di pochi giorni la notizia che la Cassazione, il terzo grado di giudizio, ha finalmente assolto il blogger Ruta con la motivazione che il "fatto non sussiste".
Possiamo anche tirare quel sospirato "meno male" e ringraziare il buon Carlo Ruta che ha affrontato tutta la lunga e penosa via crucis dei tre gradi di giudizio per arrivare ad ottenere la sospirata assoluzione.
Sì, siamo tutti sollevati, perché una sentenza, soprattutto della Cassazione, fa giurisprudenza, e adesso dovranno trovare altri modi per metterci la museruola: un altra delle numerose frecce all'arco della censura al servizio dei Poteri Forti è stata spuntata!
Tuttavia a me resta un'inquietudine di fondo, una sorta di malessere, di cui vi spiego i motivi.
Come è potuto succedere che sia stato necessario arrivare al terzo grado di giudizio per affermare un cosa assolutamente ovvia e scontata, per cui in tutto il resto del mondo avanzato non ci sarebbe stato neppure bisogno di discutere, e men che meno ricorrere alla magistratura?
Non vorrei mettermi a discutere il merito tecnico della questione, cioè se un blog possa essere considerato un "periodico a stampa". E' vero che non è stampato, ma potrebbe esserlo da chiunque. E' pure vero che non si tratti di un periodico vero e proprio, perché non ha una cadenza prefissata. Tuttavia queste cose sono appunto tecnicismi, soggetti ad una interpretazione da parte di un giudice, che spesso non ha neppure nozioni sufficientemente radicate su Internet e Informatica. Tant'è che ben due giudici hanno ritenuto di poter assimilare un blog ad una stampa periodica ed emettere quindi la sentenza di condanna.
Il punto è proprio questo, ed è il punto cardine: l'esistenza nel nostro ordinamento di "mostruosità giuridiche", norme figlie di altre culture, vecchie come il cucco, anacronistiche, inattuabili. Quando questa è la realtà, può sempre uscire un azzeccagarbugli che può sfruttare questi obbrobri per imporre una giustizia che sfugge alle più elementari nozioni di logica e buon senso.
E' infatti assolutamente ovvio, scontato ed evidente che oggi un blog è semplicemente un mezzo di espressione della propria opinione, niente di più niente di meno. E' del tutto fuori dalla realtà il poter considerare un qualsivoglia blog come una testata giornalistica, di quelle che richiedono una registrazione presso il Tribunale. Di questa affermazione non c'è necessità di argomentare per dimostrarne la verità: è nella realtà quotidiana, intorno a noi. Sta scritta nella essenza stessa della Rete per come si è andata consolidando in questi anni. E il fatto che si tratti di una verità "virtuale", come tutto il mondo di Internet, d'altro canto, non indebolisce di un'oncia la sua verità.
E invece questa ovvietà non viene raccolta dalla normativa attuale, fino al punto che due giudici hanno ritenuto di violare il buon senso ed emettere due sentenze "assurde", che però hanno evidentemente trovato supporto in codici anacronistici ed incongrui, che nessuno si degna di aggiornare per adattarli ad una società che, se non altro tecnologicamente, è lontanissima da quella che ha generato il corpus legislativo che ancora ci trasciniamo appresso.
Secondo me, quindi, non è che ci siano tanti elementi per gioire. Anche questa vicenda ha dimostrato che in fondo siamo largamente in balia di un sistema che è fatto per essere manovrato dai potenti, piuttosto che tutelare i più deboli.
Carlo Ruta ce l'ha fatta, e tutti noi con lui, ma con troppa fatica!

giovedì 19 aprile 2012

La dottrina Petrolini


Dunque s'è visto che anche il governo Monti - similmente ai governi che l'hanno preceduto - segue pedissequamente quella che io chiamo "dottrina Petrolini": bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.
Perché di soldi ne servono tanti, per risanare il dissesto finanziario che gli stessi governi hanno creato.

Si potrebbe obiettare che in un paese come l'Italia odierna, dove il 50% della ricchezza è concentrata nelle mani del 10% della popolazione più abbiente, sarebbe anche ora di dare corso alla dottrina contraria, e cominciare quindi a spremere seriamente soldi dai ricchi.
Opinione questa anche sostenibile con la considerazione che i ricchi da decenni pagano meno del dovuto, godendo di quel regime fiscale agevolato che si chiama "evasione fiscale, economia sommersa e corruzione".

Tuttavia bisogna mettersi nei panni dei poveri governanti e capire i motivi per cui la dottrina Petrolini è in ogni caso sempre ampiamente preferibile.
Perché vedete, i poveri sono facilmente reperibili, si sa tutto di loro.
I loro soldi stanno nelle banche sotto casa, non li portano mai all'estero: stanno lì a disposizione.
L'accertamento è facilissimo, e i soldi spesso glieli puoi prendere alla sorgente, addirittura prima che gli arrivino in tasca.
Non hanno stuoli di avvocati o commercialisti che li difendano a spada tratta, anzi spesso neppure si difendono da soli!
Neppure hanno alcun potere di ricatto, del tipo "aumenti le tasse? E io allora porto i soldi in Svizzera, tiè!"
Ma soprattutto tra i poveri DI SICURO non ci sono gli amici, i conoscenti e gli amici degli amici dei governanti stessi; pensate un attimo che disagio sarebbe ritrovarsi ospiti a cena da signori a cui il giorno prima hai chiesto di pagare più tasse.

No, bisogna converirne, la "dottrina Petrolini" è proprio l'unico modo per reperire i fondi per sollevare l'Italia dalla merda in cui è caduta.

Però... c'è un però...
Il punto debole di tutta la dottrina è questo: se la si applica troppo a lungo e troppo estesamente si rischia di "raschiare il fondo del barile", ovvero di arrivare al punto in cui i poveri, cioè le fasce basse di reddito e i ceti medi, non hanno più denaro disponibile per ulteriori "prelievi".
La dottrina prevede che ciò sia un dettaglio trascurabile, perché si può sempre chiedere "sacrifici" al popolo bue, cioè non solo si può intaccare i loro risparmi ma cominciare anche proprio a chiedergli di stringere la cinghia.
Poco male, pensa il governante, in fondo un po' di dieta non gli fa neppure male, a questi straccioni!
Giusto, per carità, giusto. E quasi quasi il popolo bue dovrebbe pure ringraziarli per questa delicatezza.

Non fosse che si crea uno spiacevole effetto collaterare, un "fastidio" che disturba il piano perfetto di recupero del dissesto che il governante con il suo infinito acume aveva concepito.
Il punto è che i poveri arrivati alla frutta, ma guarda tu che guaio... non consumano più, perché gli hanno levato tutti i soldi. E naturalmente, siccome i poveri sono tanti ma proprio tanti (enunciato dalla dottrina Petrolini stessa), se smettono di consumare loro, anzi neppure se smettono, basta che rallentino un pochettino, l'economia dell'intero Paese va a fondo.
Cominciano a chiudere i negozi e le imprese, cominciando dalle piccole e arrivando poi fino alle grandi, ad andare in crisi i professionisti e gli artigiani.
La crisi si acuisce in tempi rapidissimi, e non solo l'economia peggiora con i conseguenti danni, ma diminuscono anche le entrate fiscali dello Stato e quindi i soldi che il governante con tanta devozione aveva rastrellato dal fondo delle saccocce dei poveri viene compensato dalle minori entrate fiscali.

Quindi il recupero finanziario dello Stato... semplicemente non si verifica affatto!
I debiti restano sempre lì, apparentemente inamovibili, e in più si sono fatti danni profondi all'economia del Paese.
Con tanti complimenti al piano perfetto e all'infinito acume del governante.

La verità è che, come in tutte le cose, non si può tirare troppo la cinghia.
In Italia, già da decenni si è seguita la "dottrina Petrolini". Si potrebbe dire che l'Italia degli ultimi trent'anni è stata una macchina che ha estratto denaro dai ceti bassi e medi per consegnarlo agli alti redditi.
Insomma una specie di Robin Hood al contrario, oppure una sorta di Superciuk, il supereroe sbevazzone che rubava ai poveri per dare ai ricchi che gli appassionati del famoso fumetto "gruppo TNT" certamente ricorderanno.
I dati stanno sotto gli occhi di tutti, l'apertura della forbice che separa i bassi redditi dagli altri è una evidenza, l'accumulo di censo in una minoranza è un fatto conclamato.

Basta fare due più due: l'evasione fiscale da sola vale circa 100 miliardi di mancato gettito fiscale l'anno. Una ventina d'anni a questo ritmo ed ecco lì che magicamente si produce proprio il debito pubblico italiano.
E chi è che si è arricchito attraverso l'evasione? Di certo non quei pezzenti dei pensionati e dei lavoratori dipendenti!

Adesso per risanare il debito prodotto per arricchire il 10% dei furbacchioni che non hanno pagato le tasse per decenni si vorrebbe applicare ancora la "dottrina Petrolini".
A parte la profonda ingiustizia sociale, che fa subito venire in mente il classico adagio "mazziato e cornuto", la cosa proprio non funziona, semplicemente dal punto di vista economico.
L'ho spiegato sopra, in Italia abbiamo superato il "limite di spremitura" delle classi inferiori. Di qui in avanti ogni piccolo sacrificio si dovesse chiedere ai pensionati e ai lavoratori italiani lo si pagherebbe subito in termini di calo dei consumi, quindi crisi economica.

Guardate quello che è successo: a partire dalla seconda metà del 2011, prima le "manovre correttive" di Tremonti, poi il "rigore" di Monti, tutti provvedimenti sostenuti da una rigorosa "dottrina Petrolini" - per carità di Dio! - ed ecco che il 2012 sarà certamente un anno di recessione, e pure marcata.
E secondo i sedicenti "tecnici" che attualmente guidano la nazione questo sarebbe un risanamento finanziario?
Una manovra che produrrà un PIL del -2% (accetto scommesse...)?
Uno che produce questi risultati io non lo chiamo tecnico, lo chiamo inetto.

Sarà mica il caso di cominciare a ridiscutere questa benedetta "dottrina Petrolini"?
Sarà mica il caso di cominciare a prendere i soldi non dove è facile prenderli, ma dove sono accumulati e in abbondanza, anzi in super-eccesso?
Sarà mica giunto il momento di chiedere indietro i soldi a chi si è stra-arricchito, oltretutto in maniera illecita, causando il dissesto che ci affligge?
E' difficile, dite?
Balle, non è affatto difficile né complicato, si potrebbe fare con grande facilità, solo che manca la volontà, per via di quello che dicevo prima: perché il governante dovrebbe cominciare a prendere i soldi da sé stesso, dai suoi amici,  parenti e conoscenti, e dagli "amici degli amici"...