mercoledì 19 settembre 2012

Renzi, il nuovo che avanza



Nel Partito Democratico, presunto primo partito italiano, il "nuovo che avanza" si chiama Matteo Renzi.

Alla domanda del conduttore di Ballarò su quale modello egli preferisse, se lo Stato socialdemocratico o lo Stato liberale, Renzi, con la sua faccia furbetta e l'eloquio brillante e lievemente sputacchioso come suo solito, ha risposto che questa domanda è vecchia e stantia, che corrisponde a modelli e schemi mentali superati.
Insomma: ciarpame intellettuale senza rilevanze pratiche.
Renzi continua spiegando che non è tanto importante sapere se ci stiamo ispirando ad un modello socialdemocratico o liberale, ma è invece importante occuparsi dei "problemi reali della gente".

Come si vede i principali ingredienti di questa ennesima scipita minestra politichese sono:
il nuovismo, inteso come il culto acritico e acefalo del cambiamento, laddove questo cambiamento è soprattutto apparente ma soprattutto è un cambiamento non ponderato, non proveniente da un reale processo di revisione;
il populismo, interpretato da quel richiamo ai problemi reali della gente, come se porsi la domanda se il modello ideale di Stato più opportuno a cui ispirarsi sia la Socialdemocrazia o lo Stato liberale, sia un inutile esercizio da intellettuale e non impatti invece profondamente con la realtà di tutti i giorni, perché è ovvio che da quella scelta vengono azioni di governo differenti che hanno conseguenze, eccome!, sulla vita dei cittadini.

Cosa c'è di più importante, se ci si candida alla guida di un Paese come sciaguratamente ha fatto Renzi, che far sapere ai suoi cittadini se ci intende ispirare a principi socialdemocratici o liberali?
Possibile non capire che dietro a queste due grandi categorie di pensiero ci saranno poi scelte amministrative ben precise?
Come si fa a considerare una domanda come questa una specie di sofismo, una "pippa mentale" per dirla in termini più spicci?

Qualche giorno dopo, nella sua smania di protagonismo, il nostro interpido Renzi ha anche "chiarito" il suo pensiero a proposito dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Il suo limpido pensiero è, in soldoni, che non serve a niente e si può pure togliere: anche questo evidentemente inutile ciarpame.
Cancellando con ciò in un solo colpo storie centenarie di battaglie dei lavoratori per innalzare il loro status da sostanziali schiavi a persone e ignorando del tutto i problemi di diritti, tutela e sicurezza del lavoro che ci sono dietro.

E questo sarebbe un candidato al governo della Nazione?
E questo sarebbe il presunto leader del maggior partito "di sinistra" italiano?

Ah, bene, non c'è che dire, si tratta veramente di "nuovo che avanza".
Che avanza, sì.
Cioè che è d'avanzo, non si sa proprio che farsene.

A me oltre che avanzato mi sembra pure avariato...

giovedì 9 agosto 2012

Basta lavorare gratis...


Ascoltiamo la brillante proposta che il nostro sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo ha lanciato per tentare di risollevarsi dalla crisi economica:
"Nel brevissimo periodo, per aumentare la produttività del Paese lo choc può venire dall'aumento dell'input di lavoro, senza variazioni di costo; lavoriamo mediamente 9 mesi l'anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve. Se noi rinunciassimo ad una settimana di vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto".

Bene. La domanda che sorge leggendo queste farneticazioni è una sola: ma dove vive Polillo?
Non rispondetemi “in Italia”, perché proprio non ci si può credere!
La proposta di “aumentare il potenziale produttivo del Paese” fa il paio con una delle più tipiche esternazioni dell’ex presidente Berlusconi “gli italiani pensino a lavorare di più”.

Anzitutto qualcuno dovrebbe cortesemente spiegare al nostro “super-tecnico” che aumentare la produttività non risolve alcun problema; quello che conta è se si riesce poi a vendere quello che si è prodotto.
Ma certo, questo è un dettaglio marginale agli occhi dell’intrepido sottosegretario...

E noi riusciamo a vendere i nostri prodotti?
Pare evidentemente di no, visto che in Italia continuano a chiudere aziende.
Il motivo lo sanno pure i sassi (ma Polillo evidentemente non l’ha ancora scoperto): perdiamo continuamente competitività, diminuiscono le commesse e gli ordini alle nostre industrie.
Se questa è la realtà, a cosa serve produrre di più?
A chi potremmo vendere questo di più?
Ma non pensate che se le nostre aziende avessero mercato non si sarebbero già organizzate per aumentare la produzione, magari assumendo nuovi lavoratori?

Quindi la proposta di Polillo potrebbe essere riletta in questo modo: siccome manca il lavoro, bisogna lavorare di più.
Davvero un colpo di italico genio!

Eppure guardando bene dietro la proposta, apparentemente delirante, si trova altro...

Siccome i beni prodotti in quella settimana di lavoro “gratis” avrebbero un costo inferiore, sarebbero automaticamente più competitivi sui mercati internazionali.
Cioè, non so se avete capito il senso vero della proposta di Polillo: siccome il nostro prodotto costa troppo, è necessario pagare di meno i lavoratori per diventare più competitivi.
Eccola qui, la vera proposta!

In effetti a ben pensarci sarebbe veramente una svolta: un ulteriore grande passo avanti nella direzione della “cinesizzazione” della società italiana.
Ovvero minori diritti per i lavoratori, più lavoro e paghe più basse.
Insomma avvicinarci alla Cina e al suo modello di civiltà medioevale.
Questo è in realtà quello che Polillo, con allineata tutta la Confindustria e in definitiva tutta la classe dirigente italiana, ha in mente.
Tra i tanti modi che si hanno a disposizione per ridurre i costi, ovvero puntare su innovazione, riorganizzazione e nuove tecnologie, oppure ridurre il carico fiscale sulle aziende, oppure ancora alternativamente ricorrere alla svalutazione competitiva della moneta, che negli anni ’90 produsse risultati strepitosi sulla bilancia commerciale italiana, l’unica cosa su cui la classe dirigente punta è ridurre il costo del lavoro, cioè in definitiva far pagare ai lavoratori la crisi.

Oltre al fatto che questa scelta è evidentemente socialmente ingiusta, c’è pure il problema che alla lunga danneggia l’economia, perché ridurre di fatto le retribuzioni e i salari porta inevitabilmente anche la diminuzione della domanda interna, che ha come inevitabile conseguenza la discesa del PIL.

In definitiva questa è l’indicazione di Polillo: la crisi la paghino i poveracci. Meno retribuzioni, meno diritti (a questo sta alacremente lavorando la sua collega di governo Fornero), meno occupazione e più tasse (in questo si esercita il governo tutto).
Poi questo sarà gradatamente seguito da ulteriore crisi, e quindi ulteriori tasse e ulteriore meno occupazione, in un circolo vizioso che si fermerà solo quando la nostra società si sarà “cinesizzata” come da programma.

Ma lasciamolo pure fare, questo Polillo e i suoi degni compari, e vedrete se non andrà come ho appena anticipato!
Ci vorranno decenni, ma lì andremo a finire, vedrete...

mercoledì 4 luglio 2012

La “Spending Review”


Adesso si parla di Spending Review.
La gente non capisce granché che cosa vuol dire ma fa niente, il nome è veramente bello e altisonante.
Tradotto in italiano suonerebbe un po’ come “Revisione della Spesa” ma vuoi mettere, detto in inglese?
D’altra parte è una specie di tendenza generale (stavo per scrivere trend): quando la politica sta per promuovere l’ennesima cazzata si inventa un nome appariscente ed evocativo, possibilmente in inglese o comunque in “politichese” (per intenderci roba del tipo “convergenze parallele”), in modo che la maggioranza non ci capisca niente e i “manovratori non vengano disturbati”, come si leggeva un tempo sugli autobus di linea.

Avete presente le pubblicità televisive dei profumi?
Bene, non ne esiste una che non sia fatta in francese. Sicuramente diranno quattro scemenze di una banalità sconcertante, ma il fatto stesso di dirle in francese rende il tutto più charmant (e stavolta mi allineo pure io all’esotismo...)

E quindi sarà Spending Review.
Con quell’accidente di nome chissà che cosa strafica metteranno in piedi no?
E in effetti dalle prime indiscrezione pare proprio che stavolta il nostro intrepido Governo abbia intenzione di fare le cose proprio per bene...

Tra i vari provvedimenti possibili ce ne sono due da mettere a confronto, perché questa comparazione è veramente emblematica.
Da un lato vi è la segnalazione dell’Inps relativamente alle cosidette pensioni d’oro, 109.000 pensioni di altissimo valore che costano ogni anno circa 13 miliardi di euro allo Stato. Un emendamento ha proposto di introdurre un tetto pari a 6000 euro mensili, il che porterebbe ad un risparmio di una decina di miliardi di euro.
Dall’altro ci sono i buoni-pasto dei dipendenti pubblici che potrebbero passare dai circa 8 euro attuali a 5,29 euro, per un risparmio annuo pari alla strabiliante cifra di ben 10 milioni di euro.

Indovinate un po’ quale delle due misure è stata accantonata dal Governo e quale invece proposta?
Facile, no? Nella fatidica Spending Review delle pensioni d’oro non si parla più, l’emendamento è stato accantonato, mentre invece la riduzione dei buoni-pasto è confermata.

Insomma mettetevi un po’ nei panni di un qualche povero ex-manager di imprese pubbliche o politico che improvvisamente dovrebbero vedersi tagliata una pensione di 20, 30 o 40 mila euro lorde al mese (fino al recordman italiano, tal Mauro Sentinelli, ex direttore generale Tim, che incassa 90,246 euro lorde al mese) fino a precipitare nell’assoluta indigenza di miserrrimi 6000 euro lordi.
Ma vi rendete conto di che dramma sociale stiamo parlando?

A fronte di questa intollerabile ingiustizia abbiamo 450 mila dipendenti pubblici che in barba alla crisi si danno ai più sfrenati bagordi scialando ben 8 euro per un pranzo!
Oh, dico, 8 euro per pranzare, roba che manco Pantagruel!
Ma che diamine, è ovvio che è da qui che bisogna cominciare a fare la nostra bella Spending Review, no?

Fulgido esempio di Dottrina Petrolini (vedi), non è vero?

Notate anche la finezza contabile: un provvedimento che colpisce la Casta e affiliati viene escluso pur portando un risparmio di diversi miliardi di euro, mentre un provvedimento che colpisce la gente normale, i “pecoroni”, che però apporta un risparmio circa 1000 volte inferiore, viene portato avanti con intransigenza.

Non è veramente meravigliosa questa nostra pazza Italia?

lunedì 2 luglio 2012

Ma che strano: crollano le vendite al dettaglio

L’Istat fornisce dei dati veramente sorprendenti: crollano le vendite al dettaglio, mai così male dal 2001!

Che cosa buffa, proprio adesso che con il governo dei “Professori” ci siamo incamminati a passo romano di parata verso la “messa in sicurezza dei conti pubblici”, guarda un po’ cosa deve succedere?
Crollano le vendite al dettaglio!

Certo nemmeno un mago con la proverbiale palla di cristallo avrebbe mai potuto immaginare che la pioggia di aumenti di tasse che i Bocconiani hanno fatto cadere sugli italiani avrebbe potuto produrre un risultato così drammatico.
Ma certo, chi se lo poteva immaginare?

Ebbene, qualsiasi persona dotata di buon senso e un minimo di neuroni funzionanti poteva immaginarselo.
E’ una politica sbagliata, oscenamente sbagliata.

Ma d’altra parte quali alternative potrebbero esserci?
No, no, non c’è nient’altro che la dottrina Petrolini (vedi) a soccorrerci, in questi bui tempi di crisi...

Questo governo, in realtà, sta lì proprio apposta.
Raschia raschia, la sciagurata classe dirigente che ci ha condotto allo sfascio negli ultimi decenni, s’è portata via quasi tutto dal fondo del barile.
A nutrire i pecoroni erano rimaste solo le briciole.
Per tenere in piedi questo sontuoso sistema di continuo arricchimento dei (pochi) ricchi a scapito delle moltitudini di poveri pecoroni oramai toccava portare via anche quelle poche briciole rimaste giù in fondo.

Solo che i signorotti che hanno raschiato per decenni non potevano certo farsi cogliere con le mani dentro il vaso della marmellata a portarsi via gli ultimi rimasugli.
Va bene che sono pecoroni, quindi supremamente coglioni e adusi ad essere munti e aggiogati, ma a portargli via anche le ultime briciole persino i pecoroni si sarebbero forse un po’ incazzati.
No, no meglio non correre rischi.

“Allora sai che facciamo?”, si sono detti: “Invochiamo la crisi e mettiamo al governo i tecnici, tanto quelli mica si devono presentare alle elezioni a chiedere il voto, no? Le castagne dal fuoco le facciamo togliere a loro, e noi magari facciamo pure un po’ di cagnara a fingere che abbiamo a cuore le sorti dei pecoroni, e che però purtroppo con la crisi che c’è non ci sono alternative e bisogna proprio stringere la cinghia...”

Purtroppo, malgrado la scienza profusa dai dotti bocconiani succede quello che era ovvio succedesse: raschia raschia la gente si impoverisce e consuma sempre di meno.
E se i consumi calano tutto l’economia va indietro, inevitabilmente.
La cosa era talmente scontata che l’avevo ampiamente previsto, anche nel mio intervento sullla “Dottrina Petrolini”.
Non esistono imprenditori, professori, statisti e vari maghi col cappello a clindro in grado di invertire questa regola: il mercato e tutta l’economia si reggono sui consumi delle famiglie, della gente comune.

La cosa incredibile è che mentre questi sedicenti professori continuano ad affermare di stare a salvare l’Italia (“abbiamo messo in sicurezza i conti pubblici”, pensa te che razza di balle epocali riescono a dire) in realtà stanno sistematicamente demolendo l’economia della nazione e conducendoci a tappe forzate verso l’ingresso nel Terzo Mondo, o medioevo che dir si voglia.
Il tutto con il plauso degli stessi pecoroni!!!

E’ incredibile come bastino un po’ di parolone da azzeccagarbugli e alcune tecniche da imbonitore per abbindolare moltitudini di fessi e convincerli a continuare a seguire una strada che lì sta portando verso la miseria ogni giorno che passa di più.

martedì 26 giugno 2012

Cribbio, la signora Pivetti s’è indignata!

Leggo una notizia di qualche mese fa. L’Ufficio di Presidenza della Camera ha approvato una normativa che prevede che i benefici per gli ex Presidenti della Camera non saranno più a vita ma limitati nel tempo.

E pare che la nuova norma abbia proprio fatto infuriare l'illustre signora Irene Pivetti, ex-Presidente anch’ella, come certo tristemente ricorderete tutti.
Addirittura pare che l'eminente ex-politica ha annunciato che farà ricorso contro il provvedimento, descritto nientepopodimeno che come "tagli forcaioli come nella Russia zarista"!

Oh, badate bene, la signora farà ricorso non certo per difendere i suoi interessi, perché naturalmente per lei non prende nulla e non vuole nulla. Vuole tutelare le persone che lavorano per lei nella sua segreteria, chiede che siano "stabilizzate".

Cioè, prendete nota diligentemente, la signora per il fatto di essere stata presidente della Camera dal 1994 al 1996 (cioè due anni di Presidenza e poi fuori dalla politica da più di quindici anni) ha la possibilità di avere segretari (quanti non lo so ma di certo più di uno) pagati dallo Stato, nonché mantenersi due uffici nel centro di Roma (pare per più di 200 metri quadri, e di gran lusso).

Con i soldi dello Stato ha costituito un ONLUS, un meraviglioso contenitore di aria fritta, come chiunque può divertirsi a verificare di persona al seguente indirizzo http://www.ltbf.it.

E noi dovremmo continuare a pagare tutto questo, mentre la nostra eroina continua a prendere soldi a palate per le sue ridicole comparsate in vari programmi televisivi, per le sue rilevantissime opinioni come giornalista (del tipo di quando parlando dei superstiti dell'affondamento della barca albanese Qater Radës disse "buttateli a mare, che si raffreschino le idee").

Certo ci si chiede come mai non sia venuto in mente alla gloriosa ex-Presidente che forse - dico forse - dovendo cominciare a stabilizzare qualcuno in Italia, non sarebbe una cattiva idea cominciare con la gente normale, che lavora dalla mattina alla sera per quattro soldi per tirare avanti una famiglia.
O meglio ancora, non sarebbe male spendere il denaro pubblico per sostenere i tanti che sono in difficoltà, che hanno perso il lavoro, o i giovani che da anni non riescono a trovarlo.
Sarebbe sicuramente molto meglio, sì, spendere il denaro pubblico in questo modo, invece che continuare a bruciarlo in pagliacciate, dandolo a figli di papà e furbetti che da anni non fanno niente di utile dalla mattina alla sera, e si ingrassano come parassiti sguazzando nel baraccone del classico politico cialtrone ed inutile.

Visto che da sedici anni l'illustre signora Pivetti si mantiene un lussuoso carrozzone e un codazzo di sottopanza godendo di fondi pubblici in grande quantità, non potrebbe accontentarsi, visti i tempi di crisi, di quanto ha già sperperato fino ad oggi e cominciare a pagarsi con i soldi suoi, i suoi privilegi, i suoi lussi, i suoi sprechi, i suoi valletti personali?

Ma certo che no!
E' talmente abituata a godersi il denaro pubblico che adesso la prospettiva di dover cominciare a pagare i conti di tasca sua la fa addirittura indignare!

Ciò che invece fa indignare me è che si sia trattato del classico “taglio morbido”, visto che per gli ex-presidenti più recenti (Violante, Casini, Bertinotti e Fini) questo taglio non si applicherà.

giovedì 21 giugno 2012

Salviamo le banche spagnole!


La sapete quella del correntista convocato dal direttore della sua banca?
Allora, un tizio viene chiamato dal direttore della sua banca il quale, dopo averlo fatto accomodare, lo apostrofa dicendogli «Ma lei si rende conto di aver emesso degli assegni scoperti?»
L'uomo lo guarda perplesso e risponde «Ma che vuol dire, direttore?»
Il funzionario, allibito, replica «Come che vuol dire? Lei ha firmato degli assegni senza copertura, il suo conto è in rosso!»
«In... rosso?... cioè?»
Il direttore della banca non crede ai suoi orecchi, ma questo tipo dove vive?
«Sì, insomma, lei non ha più soldi in banca, anzi ha debiti! Ha capito adesso?»
L'uomo si apre ad un sorriso radioso, finalmente ha capito!
«Ah, adesso capisco! Va bene direttore, mi scuso e rimedio subito. Mi dica quanti soldi mancano, le faccio subito un assegno...»

A me questa barzelletta fa molto ridere, soprattutto perché trovo che esprima benissimo l'approccio schizofrenico che in tanti hanno verso il denaro in questo nostro scassatissimo mondo.

A questo proposito vi voglio raccontare un'altra storiella, ancora più divertente!
State a sentire.

Dunque l'Europa ha deciso di "salvare" le banche spagnole, indebitate fino al collo. Per farlo stanzierà 100 miliardi di euro, che gli saranno prestati all'interesse del 3%.
Questi 100 miliardi proverranno dall'EFSF, fondo salva-Stati per gli amici. Ovvero a pagare saranno gli Stati europei (cioè stringi stringi alla fin fine pagherà Pantalone, ovvero il popolo-bue, come al solito).
Una quota rilevante di questi 100 miliardi, circa 20 (per la precisione 19.8), saranno a carico dell'Italia.

Ma l'Italia... ce li ha questi 20 miliardi da prestare alle banche spagnole?
Ma figuriamoci, certo che no!
E quindi, come faremo?
Ma non c'è problema, come volete che faremo? Faremo come abbiamo fatto sempre, ovvero ce li faremo prestare.
E chi ci presterà questi 20 miliardi?
Be', potremmo utilizzare il solito canale, ben noto e collaudato, dei Titoli di Stato, giusto?
Giustissimo! E quindi, visto che con lo spread attuale gli interessi sui nostri titoli stanno intorno al 7% alla fine della fiera avremo realizzato questo meraviglioso scenario: ci faremo prestare 20 miliardi al 7% per prestarli a nostra volta a qualcun altro al 3%!

Che ne dite, non è divertentissima?
Io trovo che sia addirittura più divertente di quella vista prima.

Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risa se non fosse che... che... che...
Che non è una barzelletta, è tutto assolutamente, incredibilmente, assurdamente VERO!
Cioè SUL SERIO le "teste d'uovo" (evitate facili variazioni, per favore) che guidano le sorti europee hanno concepito questo geniale piano di salvataggio per le povere banche spagnole.

Notate bene, ciò che ci accingiamo a salvare con i nostri soldi, indebitandoci ulteriormente, non sono magari poveri cittadini spagnoli truffati da banche che hanno investito male e poi sono fallite.
Nooo! Fosse così sarebbe quanto meno concepibile.
Noi ci indebitiamo per salvare delle banche, proprio le banche, magari delle istituzioni guidate da imbecilli o squali (o tutt'e due) che hanno speculato fregandosene di dove si andava a finire, e probabilmente i responsabili del crac bancario spagnolo resteranno pure al loro posto con i loro lauti stipendi a molti zeri!

Ma non eravamo in un modello capitalistico?
Ma non era nel capitalismo che esisteva la competizione, per cui quando un'azienda fallisce semplicemente chiude la baracca e arriva il curatore fallimentare a smembrare l'azienda vendendo il vendibile?
Forse ricordo male io...

O forse siamo in una variante PARACULA del capitalismo, in cui i "soliti noti" fanno i capitalisti finché c'è da prendere, cioè con i profitti, mentre invece quando ci sono le perdite improvvisamente si scoprono tutti comunisti, e quindi concordemente tali perdite vengono "socializzate".

Fermate il mondo: voglio scendereee!